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Le dottrine

Il Nome di Dio

Gertoux e la testimonianza egiziana della pronuncia Geova




Gérard Gertoux nel suo libro Storia del nome di Dio afferma che è possibile ricavare da un geroglifico egizio la pronuncia del nome del Dio di Israele, in quarta di copertina del suo libro viene specificato che questi è un ebraista ed uno specialista del Tetragramma, che ha studiato lingue semitiche presso l’Accademia di Lingue Antiche (Saintes) e si è laureato in archeologia e storia delle civiltà antiche all’Università di Lione II. Detto questo vediamo come Gertoux argomenta il suo personale punto di vista:

«Esiste una testimonianza archeologica che consenta di risolvere il problema della vocalizzazione del Tetragramma? Teniamo conto del fatto che, secondo la Bibbia, solo gli Egiziani hanno avuto un lungo contatto con gli Ebrei. Non ci si potrebbe, ragionevolmente, aspettare di trovare un’iscrizione geroglifica che riferisca le gesta gloriose del Dio degli ebrei sugli Egiziani. Inoltre le narrazioni egiziane che parlano dei loro nemici sono notoriamente disoneste, specialmente per quel che concerne le loro sconfitte. (…) Tuttavia presso Soleb è stato rinvenuto un buon esemplare, datato all’epoca di Amenofis III (1391-1353 a.E.V.). Questa breve iscrizione è incisa su uno scudo usato per i popoli soggiogati, secondo il modo egiziano di descrivere.



Questa iscrizione è facile da decifrare e può essere trascritta "t3 š3-sw-w y-h-w3-w". Nel sistema convenzionale tale espressione è vocalizzata con "ta’ sha’suw yehua’w", che si può tradurre: "paese dei beduini quelli di yehua’". È interessante notare che con shasus (beduini) gli egiziani avrebbero indicato dei beduini che vivevano con i loro bagagli nella regione nord del Sinai. Dal quindicesimo al dodicesimo secolo a.E.V. i colonizzatori ebrei che avevano conquistato la Palestina venivano definiti sprezzantemente Hapiru dagli egiziani. (Nelle lingue semitiche la parola Hapiru/Òabiru significa 'migrazioni'.)

Questi scudi contenevano iscrizioni abbastanza corte da sottrarsi a un eventuale scalpellamento. Alcuni specialisti preferiscono identificare Yehoua con un toponimo sconosciuto. In ogni caso questa distinzione è impossibile da provare, come nel caso di toponimi biblici come "paese di Giuda" (De 34:2); "paese di Ramesse" (Gen 47:11); oppure nei toponimi asiatici di questo periodo (quindicesimo secolo a.E.V.) ritrovati in numerosi elenchi egiziani: "[paese di] Jacob-El"; "[paese di] Josep-El"; "[paese di] Lewi-El", che ovviamente sono anche nomi di persona.

Si osserva un'evidente riluttanza a vocalizzare questo nome Yhw3, poiché la totalità dei dizionari indica yhw', che è illeggibile, o Yahweh, che non è in accordo con la vocalizzazione tradizionale, in ogni caso mai Yehua'. Alcuni specialisti sottolineano giustamente che le vocali delle parole egiziane non sono molto conosciute. Tuttavia per le parole straniere - come in questo caso - gli Egizi usavano una specie di alfabeto standard con delle matres lectionis, vale a dire, delle semiconsonanti che fungevano da vocali.

Proprio in questo sistema troviamo le equivalenze 3=a, w = u , y =i , ed è per questo che la lettura secondo il sistema tradizionale conduce a risultati accettabili. Per esempio, nella stele di Merneptah (XIII Secolo a.E.V.) il nome Israele è trascritto in geroglifici Yÿsri31, che si può leggere Yisrial (sistema tradizionale), il che non è poi tanto sbagliato. Altri specialisti che rifiutano il sistema classico leggono questo nome Yasarial a motivo della sua antichità.

Eppure quasi un millennio prima, a Ebla, questo nome si leggeva Išrail, e questo contraddice la lettura Yasarial. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, il sistema tradizionale di lettura dei geroglifici è la migliore alternativa; secondo questo metodo, II nome (o toponimo) Yhw3 si legge "tecnicamente" Yehua'.» - Storia del nome di Dio, ed. Azzurra7, 2007, pp. 105-109.

Incominciamo, nell’analizzare quanto affermato da Gérard Gertoux, a capire che tipo di scrittura era quella geroglifica.
La scrittura geroglifica era nello stesso tempo fonetica, figurativa e simbolica. Nel caso specifico preso in esame da Gertoux ogni singolo geroglifico va letto come fonogramma:

«I fonogrammi sono segni che specificano uno o più suoni. Derivano dagli ideogrammi in virtù del principio del rebus, ovvero l’uso di un disegno per il suo valore fonetico, senza tenere conto di ciò che rappresenta. Si potrebbe così scrivere il verbo “notare”, per mezzo di disegni che rappresentano, convenzionalmente una nota (es. quella musicale) e un re (es. carta da gioco).

I fonogrammi si dividono in tre classi:

- gli unilitteri (30), che esprimono una sola lettera (la maggior parte dei segni del nostro alfabeto, A, B, ecc., sono degli unilitteri);

- i bilitteri (circa 80), che esprimono due lettere (la lettera Z, che serve in italiano, a seconda dei casi, a esprimere D+Z, come in azalea o T+S, come in azione, è bilittero);

- i trilitteri (circa 50), che esprimono tre lettere (senza paragoni nel nostro alfabeto).

Come nella maggior parte delle scritture semitiche, i fonogrammi non notano, in teoria, che le consonati e le semiconsonanti.» - P. Grandet, B. Mathieu Corso di Egiziano geroglifico, Ed. Ananke, 2007, p. 13

Quindi la scrittura egizia è di tipo consonantico:

«La scrittura egiziana segna soltanto lo scheletro consonantico della parola, tralasciando le vocali. A varie riprese, soprattutto nelle fasi più tarde della lingua, sono stati però fatti tentativi per cercare di rendere, pur se in maniera approssimativa, parziale e niente affatto sistematica, anche la vocalizzazione della parola.» Alberto Elli Guida ai geroglifici. Lingua e scrittura degli Egiziani, Ed. A. Vallardi, 1997, pp. 26.
A. Elli ci dice che sono stati fatti dei tentativi, se pur parziali, per vocalizzare le parole egizie, ma con quali risultati?

«A motivo di questa grafia incompleta (caratteristica comunque di altre grafie antiche e moderne, quali la fenicia, l’ebraica e l’araba), ci è estremamente difficile, se non impossibile, sapere l’esatta pronuncia dei termini. Questo non costituiva invece alcun problema per un antico egiziano, il quale sapeva, leggendo, mettere al posto giusto le vocali giuste (così come un arabo o un ebreo moderno non hanno difficoltà a leggere un testo nella loro lingua, pur scritto senza far uso dei segni normalmente utilizzati per indicare le vocali).

Ma l’antico egiziano è ormai una lingua morta e nessuno sa più quale fosse la pronuncia esatta dei termini… La pronuncia di un egittologo moderno è pertanto artificiale e risulterebbe incomprensibile per qualsiasi antico abitante della Valle del Nilo: i due potrebbero comunicare solo per iscritto!» (il grassetto è mio).

In cosa consistono questi “tentativi” di vocalizzazione di cui parla A. Elli?

«Ignorando quali fossero effettivamente la natura, il timbro e la posizione delle vocali all’interno delle singole parole, per leggere un testo egiziano, composto da una sequenza interminabile di consonanti, e quindi impronunciabile, è diventata consuetudine generale degli studiosi inserire un suono “e” tra le varie consonanti (prtsi legge pertanto peret, nfrt si legge neferet, e così via).»

Quindi è per consuetudine generale o convenzione che si è inserito lettera «e» non certo per motivi scientificamente provati.

Gérard Gertoux ci dice che per le parole straniere - come in questo caso - gli Egizi usavano una specie di alfabeto standard con delle matres lectionis, vale a dire, delle semiconsonanti che fungevano da vocali. Proprio in questo sistema troviamo le equivalenze 3=a, w = u , y =i. Di cosa si tratta?

Gli egizi quando si trovarono ad avere a che fare con nuovi tipi di scrittura contenenti vocali, si posero il problema su come trascrivere in geroglifico alcune parole, ad esempio nomi di Re.

Il sistema che adottarono gli egizi per scrivere le parole straniere viene detta convenzionalmente scrittura sillabica:

«Questo tipo di scrittura fa la sua apparizione durante l’Antico Regno, nei Testi delle Piramidi, per le parole magiche di significato incomprensibile; lo si ritrova poi al tempo della XI Dinastia e il suo uso diventa frequente solo a partire dalla XVIII Dinastia. Influenzata probabilmente dalla scrittura cuneiforme, che fa uso di segni sillabici, essa è caratterizzata dall’uso di segni biconsonantici o di gruppi di segni al posto di segni monoconsonantici. E’ utilizzata in prevalenza per rendere nomi stranieri di luoghi e persone, come pure parole egiziane di origine straniera; saltuariamente anche per parole prettamente egiziane.» (A. Elli)

Tentarono quindi di 'vocalizzare' alcune consonanti deboli che potevano prestarsi ad essere trattate come vocali. Queste consonanti sono: la 3, la ', la w, la i, e la y:

«Inoltre, per convenzione, 3 e ' si pronunciano «a», j e y si pronunciano «i», e w si pronuncia «u»» (P. Grandet, B. Mathieu)

Normalmente quando un egittologo si trova a trascrivere un geroglifico riportante una parole di origine straniera lo fa senza riportare le consonanti deboli. Ad esempio la parola che in babilonese significava 'carro da guerra' e che si scriveva (e si pronunciava) ma-ar-ka-ba-tat, gli egizi non trovarono di meglio che scriverlo m'yrk3bwtit, cioè mayrkabutit, in questo caso l’egittologo traslittera mrkbt.

Gli egizi avrebbero potuto scrivere direttamente mrkbt, ma la scrissero così come abbiamo visto, e noi, non sapendo come esattamente venivano pronunciati, li traslitteriamo col solo scheletro delle consonanti forti abbandonando quelle deboli.

Gertoux non sembra d’accordo e a tal proposito fa un esempio:

«nella stele di Merneptah (XIII Secolo a.E.V.) il nome Israele è trascritto in geroglifici Yÿsri31, che si può leggere Yisrial (sistema tradizionale), il che non è poi tanto sbagliato. Altri specialisti che rifiutano il sistema classico leggono questo nome Yasarial a motivo della sua antichità. Eppure quasi un millennio prima, a Ebla, questo nome si leggeva Išrail, e questo contraddice la lettura Yasarial.»

Ad oggi nessun serio specialista in materia legge il geroglifico della stele di Merneptah Yasarial, e comunque se sono solo ‘alcuni’ a farlo non significa che sia universalmente riconosciuta questa trascrizione.

Comunque, se applichiamo il metodo prima indicato al termine Yÿsri3l, cioè quello di togliere le consonanti deboli, avremo Ysril molto simile al termine Israil trovato presso Ebla.

Se ci si sofferma al solo esempio di Gertoux sembra che non ci sia poi tanta differenza tra la pronuncia delle parole straniere è quelle riportate in lingua egizia, ma non è così, come si può evincere dall’altro esempio riguardo la parola 'carro da guerra' oppure, sempre a titolo dimostrativo, dai nomi di alcuni Re Ittiti:

Khattushili: hittita: Ha-at-tu-ši-li, egiziano: xtsl (x-ta-sa-r)

Murshili: hittita: Mur-ši-li, egiziano: Mrsl (Ma-r-u-sa-r)

Shubbiluliuma: hittita: Šu-ub-bi-lu-li-u2-ma, egiziano: Spll (sa-pa-ru-ru)

Infine riporto il parere di due esperti in materia su quanto scritto da Gérard Gertoux:

«La corretta traslitterazione del reperto è: t3 Š3sw yhw3 che ad litteram significa: t3 = la terra; Š3sw = Shasu, i.e. i beduini del deserto Shasu v. A.H. Gardiner, Egyptian Grammar, Griffith I., 1994, pag. 594; yhw3 è nome straniero probabilmente delle tribù medianite del Sinai = Yuà. La traduzione del reperto è: la Terra degli Shasu di Yuà id est appartenenti a…, ove questa parola assume veste di genitivo diretto v. J.P.Allen: Middle Egyptian, Cambridge 1999, § 4.13.1.

Alcune inesattezze della traslitterazione che appaiono nel testo mi fanno presumere che l’autore non abbia profonda conoscenza della lingua e scritture egiziane antiche. In primis la traslitterazione non deve mai evidenziare i complementi fonetici che sono soltanto di appoggio ai segni bi-trilitteri onde agevolarne la conoscenza degli stessi, in pratica sono segni muti. Per quanto detto il segno G43 “w” (Wachtelküken / Coturnix Coturnix), sia nella terza linea che nell’ultima non deve apparire in traslitterazione.

Secundum: la traslitterazione dei caratteri geroglifici è sempre destrorsa e non sinistrorsa come erroneamente evidenziato anche se, com’è la fattispecie, trattasi di lettura sinistrorsa. Tertium: altro piccolo lapsus del traduttore dovuto al fatto che il primo segno nel reperto è N17 e non N16 come riportato in immagine dall’autore (i tre puntini non ci sono nell’originale). Quart. Come ho già accennato nel precedente messaggio noi non conosciamo la vocalizzazione delle scritture egizie. Quei segni che apparentemente paiono vocali (3 id esta” – w i.e.u” - Y/jy i.e.i”) in realtà non lo sono, sono delle consonanti particolari che gli egittologi per convenzione chiamano consonanti deboli la 3 e semi-vocali w ed j / y. Per esser più chiaro, se io volessi idealmente chiamare nel XIV sec. BCE a gran voce Yuà, nessuno mi risponderebbe.» - Dr. Mario Menichetti esperto in linguistica dell'antico oriente ed egittologia.

«Ho letto con attenzione e curiosità l'articolo che Lei mi ha proposto. Che dirle? Trarre certe conclusioni da un'apparente assonanza mi sembra, nel migliore dei casi, a dir poco azzardato. E da un unico esempio, poi! La cosiddetta scrittura sillabica, utilizzata per cercare di rendere, in maniera quanto mai approssimata e rozza, la vocalizzazione di termini per lo più stranieri, non può essere presa a giustificazione di certe interpretazioni.

Se, per esempio, si prendono i nome dei sovrani hittiti o assiri, dei quali conosciamo sia la grafia geroglifica che cuneiforme (e da questa la pronuncia), si nota subito come la corrispondenza tra la resa geroglifica e quella cuneiforme è tutt'altro che lineare.» - Ing. Alberto Elli esperto in lingue antiche e autore del testo Guida ai geroglifici. Lingua e scrittura degli Egiziani.

Conclusione:

Se ad oggi gli Ebrei non conoscono la pronuncia del nome di Dio nella propria lingua, a maggior ragione nessun egittologo, né tanto meno Gertoux, può pretendere di conoscerne la pronuncia grazie ai geroglifici egizi.




 
   
       
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Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo
dei Testimoni di Geova
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