Testimoni di Geova
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Paradiso spirituale o... circolo vizioso?

La storia di Maurizio

Sin da quando avevo tre anni ho iniziato a frequentare i TdG al seguito di mia madre, sono stato battezzato a 11 anni nel timore potesse venire Harmaghedon da un momento all'altro, nonostante essendo poco più che un bambino non capissi affatto cosa stavo facendo. Il periodo infantile e adolescenziale non ha lasciato in me ricordi particolari, frequentavo svogliatamente, avevo ben altri interessi per la testa.

Intorno alla maggiore età mi sposai e presi seriamente lo studio della Bibbia insieme a mia moglie. I primi anni, presi entrambi dall'entusiasmo iniziale, tutto pareva un mondo dorato, mia moglie iniziò a fare la pioniera regolare, io mi applicavo con fervore a qualsiasi attività teocratica ed ambivo ad essere nominato servitore di ministero.
La nascita di mia figlia ci complicò un attimo la vita per riuscire a riorganizzare gli intensi ritmi di attività fra adunanze, comitive, preparazioni per le adunanze, studio familiare, studio personale, una vita un po' frenetica che non ci dava il tempo di fermarci a riflettere su cosa stessimo facendo.
Mi sentivo oppresso da tutti gli impegni teocratici.
Come carattere sono un tipo curioso, amo scoprire, conoscere e indagare sulle cose, amo la lettura sia di romanzi che di saggi, avere diversi interessi sia sportivi che culturali, viaggiare, conoscere gente, questo in maniera simile anche per mia moglie. La nostra esistenza monotematica però, fatta solo di adunanza, servizio, testimoni di Geova, nel giro di qualche anno fece nascere in me una leggera depressione che col tempo peggiorò fino a portarmi ad un vero stato di sconforto: ero entrato in una vera e propria sindrome depressiva con pensieri suicidi che non mi abbandonavano mai.

Ma la cosa più penosa erano i continui sensi di colpa alimentati dal pensiero teocratico, perché evidentemente se ero depresso in mezzo ad un "popolo felice" poteva solo essere colpa mia, probabilmente non facevo abbastanza, dovevo fare di più; ma la maggiore applicazione portava solo un incomprensibile maggiore malessere, un circolo vizioso che mi stava divorando.

A mia moglie le cose cominciarono ad andare ancora peggio, la sua sensibilità ed emotività (una donna dolce e veramente speciale) era messa continuamente sotto pressione, i soprusi emotivi, i sensi di colpa continui per l'impossibilità di adattarsi alle miriadi di inutili regole che hanno il solo scopo di impedire l'individualità, i ritmi forsennati per essere pioniera, moglie madre, donna perfetta ebbero un esito veramente nocivo sulla salute fisica.

Entrammo così nel periodo più nero del nostro matrimonio, in casa regnavano sovrani gli psicofarmaci, lexotan, xanax, valium, per cercare di arginare gli attacchi di panico, le crisi di ansia che col tempo generarono le vertigini che la abbandonavano svenuta e richiedevano da parte mia una continua assistenza. La congregazione guardava con distacco questi problemi, un po' incredula e un po' infastidita che un suo componente potesse gettare un'ombra sulla felicità evidente del popolo di Geova, preoccupandosi soprattutto se mancavamo a qualche adunanza o se la nostra media di servizio calava.

Ad un certo punto dopo diversi anni difficili personalmente arrivai alla conclusione che indipendentemente questa religione fosse vera o meno non poteva fare per me: la continua prevaricazione delle libertà personali, il meccanismo di gruppo chiuso che ti impediva di frequentare persone diverse, leggere opinioni diverse, avere una tua opinione, occuparsi solo di cose "teocratiche", relegando gli interessi personali a qualcosa di quasi peccaminoso, mi aveva stancato. I miei tentativi di indipendenza sortivano solo continui comitati per avvisarmi che le mie letture erano insane, che essere rappresentante di classe era pericoloso per la mia spiritualità, che fare volontariato comprometteva la mia fede, che consigliare un libro positivo ad una persona depressa era apostasia. Basta!
Dopo 32 anni di associazione un bel giorno scrissi la mia lettera di dissociazione e la portai una mattina a casa del sorvegliante che presiedeva. Mi levai di dosso un enorme macigno.

La reazione dei miei familiari come prevedibile fu vergognosa, oltre al solito ostracismo che comunque è cosa nota, mi fu augurato il male che poteva essere contemplato come un giusto castigo divino: era naturale anzi giustificato che soffrissi e che mia moglie fosse emarginata come "vedova", povera sfortunata coniugata con un essere votato alla distruzione.

Mia moglie non mi seguì subito, da parte mia non le feci pressione, la accompagnavo in sala e alle assemblee, mi dispiaceva vederla stare male ma del resto non si può costringere nessuno a fare delle scelte, ognuno deve arrivarci per conto suo. Dopo circa un anno realizzò che nessuno dei "fratelli" la aiutava e realmente si interessava del suo benessere escluso me, e quindi decise spontaneamente di dissociarsi per cercare di ricostruire la nostra famiglia bistrattata da anni di vita fra i TdG.

Ora sono tre anni che abbiamo ripreso la nostra vita normale, dopo i primi tempi di assestamento tutto procede per il meglio, mia moglie ha smesso di usare psicofarmaci anche se sta completando delle cure omeopatiche per rimettersi del tutto, io sono tornato alla mia solita esuberanza e curiosità, mi sono creato un nuovo lavoro e allacciato nuovi rapporti: posso dire in tutta sincerità che il mio rapporto di coppia non è mai stato migliore, libero, consapevole e colmo di affetto.

Con sommo dispiacere dei miei familiari TdG e della congregazione di qui, sto bene fisicamente ed emotivamente, e non ho alcun ripensamento come non voglio neppure fare nessuna "propaganda" contro i TdG, sono semplicemente un capitolo chiuso della mia vita, e questa è solo la mia storia, traetene voi le conclusioni.
Maurizio Vesce




Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova
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