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La mia storia con i TdG
Torniamo indietro di 30 anni circa. Alle elementari mi sentivo migliore delle povere persone del mondo: io avevo la VERITA', gli altri sbagliavano tutti. Mi sentivo migliore, superiore, fortunata. Snobbavo tutti. Sulla pagella: la bambina non socializza con nessuno dei suoi compagni... Per i miei non era un problema, anzi... non mi mischiavo con i poveracci del MONDO! Però ero sempre sola, ma allora non mi dava noia, la mia mamma veniva tutti i giorni a farmi compagnia durante la ricreazione. Poi inizio le medie, mia mamma non vieni più a scuola, non ha tempo... ha iniziato a fare la pioniera ausiliaria. E io sto sempre sola.
Crescendo mi chiedo se essere nel giusto comporti stare da soli. Mi fa pensare molto questa cosa. Io non me ne rendo conto ma il mio atteggiamento di superiorità tiene tutti lontano. Lo capisco un po' alla volta. Con una amica... l'unica del mondo stranamente concessa, ma eravamo praticamente sorelle... inizio a parlarle di questa cosa. Lei mi dice chiaro e tondo: "Sei cosi sicura di avere tutte queste ragioni e che tutti gli altri sono da buttare?... allora perché passi tutta l'estate con me?". E così nella mia giovane mente inizio sentire il bisogno di non ragionare come un libro stampato ma di PENSARE per conto mio.
Iniziano le piccole ribellioni dell'adolescenza: a me piaceva la musica straniera di quegli anni (mi piace ancora...) ma mi era proibito ascoltarla perché musica di Satana, messaggi del mondo. Io ribattevo con forza che tanto era in inglese e io non lo sapevo. Avevo studiato tedesco, per cui non vedevo il problema. Quante litigate in casa. Poi i divieti... al cinema no, in sala giochi meglio di no... noi ragazzi si usciva sempre con la solita candela. A questo punto mi sento in prigione e inizia una mia ricerca in biblioteca sulle religioni in generale.
Ho letto un bel po' di libri che ora non ricordo, ma mi feci un'idea tutta mia sulla nascita delle religioni e di una forza suprema. Quando l'uomo non ha più saputo dare risposte hanno inventato un essere supremo misterioso, incutendo paura e ignoranza nelle persone. A me come risposte non bastavano. La classica risposta "devi avere fede e credere" mi diceva poco. Ero affamata di risposte e le cercavo in biblioteca. La scienza ne dava di più per cui ad un certo punto decisi che avere fede era come chiudere il cervello in un cassetto e dimenticarlo.
Avevo passato da poco i 15 anni, e da poco battezzata (lo avevano fatto anche le mie amiche, chi ero io per essere da meno?). A questo punto mi resi conto che la scelta era obbligata, ma sapevo anche che avrei molto deluso mio padre. Quindi per un breve periodo decido di dedicarmi anima e corpo alla sala, alla predicazione, pensando di avere solo un calo di fede. Non succede niente di che, la mia fede è sparita, le mie idee sempre più forti. Ero un esempio nella congregazione, sermoni molto belli, tante ore di servizio, risposte esemplari in sala. Solo mio padre aveva intuito il mio percorso interiore, ma non affrontava l'argomento. Con mia madre era una lite continua per ogni cosa... la musica, il vestire... ho messo un paio di jeans per la prima volta a 15 anni... Una tragedia! E i poster nascosti di SCIALPI... che orrore!!!
Comunque va avanti cosi per un paio di anni, una doppia vita... fino ai 18. Il giorno dei miei 18 decido: al momento opportuno vi saluto. Sapevo a cosa andavo incontro ma ormai avevo deciso. Conosco un ragazzo sul lavoro e mi innamoro... diventerà poi mio marito... ora ex marito. Inizio a non andare più in sala e in giro per le case. Che liberazione. Poi un giorno mio padre trova il mio diario e scopre che ho peccato gravemente col mio ragazzo. Subisco un processo nel quale faccio finta di pentirmi per amore di papà. Sapevo che avrebbe perso i suoi privilegi di anziano e non mi andava di far pagare a lui una mia scelta di tempi sbagliati. D'accordo col ragazzo ci vediamo solo un paio di volte per un paio di mesi, il tempo sufficiente che si chetino le acque. Tre mesi dopo il fattaccio mando una lettera nella quale mi dissocio. Senza spiegazioni. Avevo detto a mio padre le mie intenzioni e lui mi disse solo: "Lo sapevo fai come ti pare. Sei maggiorenne".
Purtroppo poco dopo mia madre si ammala gravemente e passa tanto tempo in ospedale. Facevo una gran fatica ad andare a trovarla, c'erano sempre LORO con lei e mi guardavano come se avessi la peste. Mi dava fastidio, in fondo era la mia mamma. Ricordo una cosa che dicevano in sala: "Si è ammalata per colpa della figlia per il dispiacere"... Ah sì, mi faceva ridere sta cosa, un tumore è un tumore ed era li da molto prima.
Un giorno di agosto mia mamma si spegne ormai consumata dal suo male. Sono frastornata ma mi accorgo che i FRATELLI comunque mi girano alla larga. Il giorno del funerale poi si sono fatti una propaganda davvero potente in paese. Nessuno, e dico NESSUNO, si è degnato di farmi le condoglianze... io guardavo la bara nella fossa mi sentivo sprofondare. Mi passavano davanti: condoglianze a zia, condoglianze a papà, e io la con la mano tesa come una scema. Dopo un po' qualche mio amico, non ricordo molto, mi trascinò fuori da quello schifo. Di quel giorno non ricordo altro, solo che non ho detto una parola, guardavo mio padre che era scosso pure lui e dicendo di no con la testa diceva: boh... boh... Un po' di tempo dopo dissi a mio padre: "Se avessi, e dico se, avuto qualche idea di tornare o qualche dubbio dopo il funerale sono svaniti". Lui mi rispose: "Hanno sbagliato, sbagliare è umano". NO, gli dissi, questo non è uno sbaglio... si chiama lavaggio del cervello.
Quindi restiamo io e papà da soli. I primi mesi sono un periodo di assestamento. Organizzare una vita nuova, gestire la casa, ecc., le solite cose. Parliamo poco con papà, lui si butta a pesce nei suoi impegni teocratici, io nei miei. Pian piano si torna alla normalità e anche alle solite litigate. Ogni cosa che facevo veniva prontamente criticata. Eravamo perennemente arrabbiati. Così, per scappare dalla situazione, decido di sposarmi. Ero sì innamorata del mio fidanzato ma sicuramente se la vita in casa fosse stata decente avrei fatto questo passo in un altro momento. Da qui in poi le cose vanno un po' meglio. Riusciamo ad avere un dialogo e tutto fila liscio. Ci vediamo pochissimo comunque, il nostro rapporto si stabilizza ad un livello più o meno normale. Lui non si intromette nella mia vita e io non mi intrometto nella sua.
Si risposa anche lui, con una sorella molto cara. Nasce anche mio figlio. Il clima è tranquillo. Ho sempre comunque la sensazione che tra di noi ci sia un muro che ci tiene distanti. Ci sono cose non dette che ci tengono a distanza. Purtroppo però una malattia se lo porta via e mi ritrovo sola.
Inizia tutto nel '94. Un giorno mio padre mi dice che deve parlarmi. Ci chiudiamo in salotto e mi mostra delle carte mediche. "Ho un tumore... Non lo sa nessuno nemmeno tua madre, lei non le regge queste cose. A te lo dico perché so che sei forte. Al momento è latente ma prima o poi si presenterà. Avrò bisogno di te".
Era calmo tranquillo, sembrava parlasse del tempo. E io pure, stessa calma... almeno fuori. ma dentro, potete immaginare. Mi informai subito sulla malattia in biblioteca (ci fosse stato internet...).
Leggo: "Ad uno stadio medio/avanzato della malattia il paziente non riesce da solo a produrre sostanze ematiche sufficienti, per cui il paziente dovrà sottoporsi a periodiche TRASFUSIONI EMATICHE". Non ci posso credere: tra le migliaia di patologie. proprio quella doveva prendersi... Guardo in alto - sono agnostica non atea - e dico: "Se pensi di punirmi così ti sbagli di grosso"... Chi mi ha visto in biblioteca avrà di sicuro pensato che ero pazza!!!
Passa un po' di tempo e faccio altre ricerche. Voglio capire il perché di questo divieto di non mangiare sangue. Dovrò avere argomenti validi da esporre a mio padre quando sarà il momento. Trovo una chicca: nei tempi antichi, ma anche in tempi recenti, era costume che il vincitore di una guerra mangiasse il sangue del vinto, in alcuni popoli mangiavano addirittura il cuore ancora caldo. Si presume che da questa usanza antica sia partito il divieto biblico di NON MANGIARE SANGUE.
Passa un po' di tempo, la malattia è ancora silente la vita segue il suo corso. Una sera guardando un programma in tv iniziano a parlare delle cellule staminali. Argomento interessantissimo soprattutto per me che ho finalmente trovato un argomento più che valido. Quindi inizio pazientemente una discussione con mio padre che andrà avanti per parecchio tempo. All'inizio non vuole ascoltare ma poi vedo che si interessa. Gli espongo le mie ricerche. A volte discutiamo animatamente. Voglio seminare un seme nella sua testa che poi si rivelerà utile. Ora vi racconto.
Dopo quattro mesi dalla comparsa della malattia, un giorno, andando a trovarlo, mi accorgo che qualcosa non va: lui è davvero debole. Anche se non vuole, lo faccio portare in ospedale. Lì mi attende il medico oncologo dell'ospedale al quale avevo telefonato. Gli fanno subito un prelievo di sangue e purtroppo il risultato è davvero infausto. Emoglobina a 4,6 (il minimo è segnato a 12-14). Il dottore mi dice che siamo nei guai. Qui ci vuole una trasfusione, non subito ma ieri!! Mio padre si rifluita categoricamente e mi dice: "Chiamate il comitato. Loro vi diranno cosa fare". Quindi io e il buon dottore chiamiamo dal suo ufficio il comitato. Sappiamo che il risultato sarà meno di zero ma seguiamo la procedura.
Spiega al tizio la situazione il quale risponde prontamente con la cura del caso (eppure non sono dottori, ancora una volta hanno domande e risposte preconfezionate che però nella vita reale hanno scarso riscontro). Vedo il dottore divampare per la rabbia, le vene del collo sembrano scoppiare. Ma resta calmo e ribatte: "La cura da voi suggerita non è efficace in questo momento. Qui si parla di una emergenza immediata, la vostra cura farà effetto tra 10-15 giorni". La risposta fu: "Siamo nelle mani di Dio". Il dottore sbatte giù il telefono ed esclama: "Bene, siamo a posto!! Che facciamo?". Rispondo: "Proviamo a convincerlo". Così il buon medico va a parlare in privato con papà. Ne esce con aria sconfitta borbottando qualcosa che non comprendo, ma immagino. Ci provo io...
Guardo mio padre negli occhi e gli chiedo: "Sei pronto a morire... oggi, domani? E' quello che ti resta!". Mi risponde: "Tu non hai fede". "Con la fede non si fa sangue, forse sangue cattivo", e sorrido ironica. "Siamo nella mani di Dio"... "No, sei nelle mani del medico". Silenzio. "Perché i trapianti li fate ma il sangue non lo prendete? Negli organi c'è sangue e hanno la stessa origine... ricordi i discorsi che abbiamo fatto? Se mi dai una spiegazione valida, coerente e intelligente ti lascio morire in pace..." (sono stata davvero dura con un uomo in punto di morte, ma era l'unico modo ed è stata la cosa più faticosa della mia vita!!!). Iniziamo a discutere: "Ma Dio dice.". Per ogni sua frase avevo una risposta molto più valida e logica. "Se io cambio nome alla trasfusione e la chiamo trapianto di organo liquido?... in fondo è un trapianto". E gli propino tutto quello che ho imparato dalle mie ricerche storico/mediche. Tra me penso che è già buono che mi ascolti.
Alla fine dice: "BASTA! Ok, facciamo cosi, decidi tu. Fin che sono cosciente dico di no, poi fai come vuoi". Quindi un sistema per tenersi coscienza pulita e non morire, un compromesso, ma tanto mi basta. Così firmo delle carte in anticipo e viene ordinato il sangue giusto. Ma non andrà cosi...
Due giorni dopo mi chiama l'ospedale, devo andare di corsa. Il medico mi spiega che mio padre ha dovuto firmare per autorizzarli a trasfonderlo, non potevano aspettare che perdesse conoscenza, il cervello avrebbe subìto seri danni per la mancanza di ossigeno (ipossia). Parto subito e in un oretta sono li. Il dottore mi aspetta e mi dice: "Tuo padre ha firmato, secondo il nostro legale la tua firma, visto che è rimasto cosciente, non aveva valore legale. Non so come hai fatto ma l'altro giorno lo hai convinto... poi me lo spieghi". Trovai mio padre in lacrime:
"Non volevo morire adesso, è troppo presto, devo sistemare un sacco di cose prima". Nei tre mesi che seguono non affrontiamo l'argomento. Io aspetto che lo faccia lui, e lui probabilmente non lo vuole fare. Fino a che, dopo un ennesimo ricovero per la chemio, il problema si presenta di nuovo. Ma lui è tranquillo, anzi mi prega di stargli vicino durante la trasfusione. Da quel momento in poi succede in lui un cambiamento... inizia a raccontarmi tutto quello che non va nella congregazione, le maldicenze, le invidie, le cattiverie tra fratelli, mi esprime la sua immensa delusione nel constatare che in fondo predicano bene e razzolano malisssimo.
E' un anziano, è stato per anni il sorvegliante che presiede, ne ha viste di tutti i colori e la sua fede vacilla da un po' di tempo. Poi parliamo del sangue e, incredibilmente, ammette che probabilmente la società ha sbagliato intendimento. Ma che ormai non cambiano, visto il polverone sollevato. Mi dice chiaramente: "Ci sono troppe cose che non vanno, alle volte siamo peggio dei cattolici, visto che siamo un gruppo chiuso. Ma ormai che vuoi che faccia sono vecchio e malato, tra un po' non ci sarò più, e non voglio far del male alla mamma". Gli rispondo che non è importante quello che appare. "L'importante papà è che ti sei ripreso la tua sacrosanta libertà di pensiero".
Nel periodo che segue parliamo di tutto quello che riguarda me, del perché mi sono dissociata, ci spieghiamo a fondo. C'era un buon rapporto tra di noi ma sempre con una sorta di muro invisibile nel mezzo. Cose non dette rimaste in sospeso. Il muro era crollato e stavamo aprendo i nostri cuori fino ad arrivare ad una comprensione assoluta. Si è perfino scusato per avermi rovinato l'adolescenza con regole e divieti esagerati. Poi mi dice: "Adesso posso anche morire, ho fatto tutto quello che volevo fare". Ha fatto parecchie trasfusioni, qualcuna autorizzata da me, perché lui era ormai incapace di decidere. Ma almeno non si è mai pentito di averlo fatto.
Questo è una parte della storia. Non sarebbe completa se non raccontassi almeno a grandi linee cosa fecero i FRATELLI nello svolgere degli eventi. In apparenza con me si comportavano davvero bene, mi parlavano, anzi mi lodavano per come seguivo costantemente mio padre. Ma solo in apparenza. Qualche particolare rivelatore:
Uno di loro parlò col buon dottore, sostenendo che non si fidavano di me e volevano fosse riferito a loro tutto quello che riguardava mio padre (sollevando per altro l'ilarità del dottore che non si prese la briga di rispondere).
Costantemente venivano a controllare le flebo, leggendo con attenzione cosa c'era scritto sull'etichetta.
Una sorta di rete di spionaggio: probabilmente avevano intuito qualcosa ma non riuscivano a prendermi in castagna. Per questo il personale dell'ospedale e il dottore sono stati davvero comprensivi, spostando mio padre in una stanza privata anonima quando c'era da fare la trasfusione. Una volta però non potevamo spostarlo, il minimo movimento sarebbe stato forse fatale, meglio non rischiare. Ho dovuto sedermi contro la porta con la sedia... cercavano di entrare a tutti i costi fino a che il personale dell'ospedale non li ha mandati letteralmente via. Erano una ventina fuori. Eppure sulla porta c'era un divieto di entrare per terapia in corso.
Il buon dottore un giorno si sbilanciò con me dicendo: "Ma che razza di gente è questa?!". Un'altra volta mi chiamò l'ospedale, credo il loro legale, spiegandomi che uno di LORO si era presentato arrabbiato perché gli stavano somministrando un componente del sangue, che per altro era uno di quei componenti lasciati alla coscienza del paziente. Chiamai subito il dottore, avevo il suo numero di casa, chiedendo spiegazioni. Si profuse in mille scuse, dicendo che aveva prescritto di farlo la notte ma la nota non era probabilmente stata vista. Gli dissi di non scusarsi che ci avrei pensato io. Chiamai un FRATELLO che fungeva da contatto con gli altri per me. Gli dissi che era ora di smetterla, che era ora si facessero i loro affari e non i miei. Le cure da fare a mio padre erano tutte concordate da me con il medico, e a loro non restava che guardare e stare in silenzio. Oppure farmi togliere la tutela del malato da un tribunale... la qual cosa, a detta del mio legale, era in partenza una battaglia persa.
Una sera si spense, nei sui ultimi attimi mi guardò e, stringendo forte la mia mano, mi sussurrò "GRAZIE", e spirò.
Feci una promessa a mio padre... che avrei aiutato sua moglie, che chiamerò nonna (matrigna sembra una brutta parola), a vivere al meglio la sua vecchiaia. Lo prendo come un impegno nei suoi confronti, un dovere morale, ma non mi è difficile adempierlo, c'è un sentimento di affetto che mi lega a lei, sentimento per altro ricambiato.
E qui si intromettono i TdG. Fino che mio padre era vivo mi avevano lasciata in pace. Ora che lui non c'è più, si fanno molte volte gli affari miei, e con arroganza. Ora non starò a raccontare tutti gli episodi nei dettagli, ma solo qualche esempio...
La mattina dopo la morte di mio padre si presentano due anziani a casa e, dopo le dovute condoglianze (qualcosa è cambiato.... eureka....), uno di loro dice: "Abbiamo pensato di fare l'annuncio della morte di tuo papà così: 'La congregazione dei TdG di ... annuncia la scomparsa di...'". Li guardo un po' spiazzata. Non vedo purché l'annuncio lo vogliono fare loro a spese mie...
Poi, da un giorno all'altro, la nonna smette di venire a casa mia. Nel frattempo mi separo da mio marito e convivo con un altro uomo. La nonna mi dice chiaramente che non si fida più di me, di riconsegnare il bancomat ecc... Alla mia richiesta di una spiegazione mi dice: "Perché tu sei dissociata io non dovrei avere contatti con te... e sei nel peccato perché vivi con un uomo". Evidentemente chi si dissocia diventa automaticamente un ladro, un delinquente, un amorale...
Ci sono vari episodi come questo. All'inizio, nelle varie storielle di intromissione ho lasciato perdere, pensando che prima o poi avrebbero smesso di intromettersi con tale arroganza nella mia vita. Ma ogni occasione per loro era valida. Purtroppo la nonna ha vari problemi di salute, è una persona facilmente influenzabile. Ho dovuto tirar fuori le unghie varie volte per far sì che lasciassero in pace lei e me. In fondo, religione o no, lei ha solo me, e quando c'è da correre lo faccio senza risparmiarmi.
Ho creato un ipotetico cerchio attorno alla mia vita, nella quale ci sono figlio e nonna. E nessuno, mai, ha il diritto di entrarci. Se ci provano divento davvero cattiva. Mi sono fatta la fama con loro di persona maleducata... oltre al resto. Ogni volta che si intromettono li chiamo, e vi assicuro non sono davvero gentile. Ormai ho perso la pazienza, la mia buona educazione sparisce del tutto in quei momenti. Mi sono chiesta in questi anni se c'è un limite alla decenza, un confine oltre al quale la comprensione umana di situazioni davvero particolari dovrebbe avere la priorità su qualsiasi ideologia giusta o sbagliata che sia! Mi chiedo spesso se io in quanto ex non sono più una persona ai loro occhi ma solo uno sbaglio da criticare esaminare...
Mi sono dissociata proprio per vivere la mia vita a modo mio facendo liberamente le mie scelte senza condizionamenti o pressioni. Ma ho visto negli anni che, vista la situazione, alla fine non mi libererò mai di loro e tanto meno della sensazione di essere in qualche modo controllata.
Ora la nonna è in una casa di riposo, non è più in grado di essere autonoma. Vado spesso a trovarla, li pensano tutti sia mia madre e glielo lascio credere tranquillamente. Lei si è molto legata a me in questo periodo. Sono il suo caposaldo e mi auguro di cuore che questa condizione non abbia a venire a meno per qualche intromissione. Anche perché, nonostante i problemi che ha, la vedo serena e tranquilla, e tale deve restare; ne ha passate tante nella sua vita, farò l'impossibile affinché viva i suoi ultimi anni davvero al meglio.
L'aiuto sia economicamente che moralmente. Per qualsiasi cosa i dottori e l'amministrazione della casa di riposo si rivolgono a me. Qualcuno ha avuto a che dire in passato su questo. In fondo non c'è un legame di parentela tra di noi. Che non è del tutto vero. Ho dei doveri nei suoi confronti anche dal punto di vista legale, essendo lei la vedova di mio padre. Spero davvero di non avere problemi da ora in poi, anche se... mi aspetto di tutto. In questo caso mi troveranno pronta, combattiva e più arrabbiata che mai...
Orietta