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La storia di Maurizio
Mi chiamo Maurizio Pederzini, sono un ex testimone di Geova. "Ex" perché, in data 16/8/2002, gli anziani della mia congregazione mi hanno disassociato. I fatti che hanno portato alla disassociazione sono iniziati il 25 gennaio 2002, quando, approfittando delle manifestazioni indette dalla Repubblica italiana per il "Giorno della Memoria", in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, la congregazione dei testimoni di Geova di Modena organizzò una conferenza, tenuta in una sala della Circoscrizione comunale, dal tema "Deportazione e Sterminio".
In quell'occasione, essendomi stata concessa la parola, commentai criticamente un documento presentato dal gruppo dirigente dei testimoni di Geova al governo nazista nel 1933. La mia critica traeva origine dai contenuti di tale documento - la "Dichiarazione dei Fatti" (link) -, nel quale venivano rivolte gravi ed offensive accuse agli ebrei, dal tono e dai contenuti sostanzialmente identici a quelli delle farneticanti teorie di Hitler, esposte nel "Mein Kampf".
Nel mio intervento - considerando che, a tutt'oggi, l'attuale Corpo Direttivo non ha espresso alcuna condanna per tale documento ma, anzi, lo ha difeso - decisi di esprimere, come testimone di Geova, le mie personali scuse alla rappresentante della Comunità Ebraica presente nella sala.
La mattina seguente, il 26 gennaio 2002, nella cassetta della posta trovai una lettera scritta dal sorvegliante di città - che iniziava con un "Egregio Signore", anziché con il consueto "Caro fratello" - contenente una serie di affermazioni nelle quali si presumeva la mia volontaria strumentalizzazione di alcune frasi della Dichiarazione, "estrapolate dal contesto secondo la maniera degli apostati".
Nella mia risposta, datata 28 gennaio, spiegai pacatamente e con chiarezza al sorvegliante che non c'era stata da parte mia alcuna estrapolazione, ma che tutto ciò che avevo detto era confermato dal documento criticato. Espressi anche i miei dubbi sul fatto che la Dichiarazione fosse stata letta per intero sia da lui che dagli altri anziani. In tutta risposta, l'anziano che presiede la mia congregazione mi informò telefonicamente che era stato indetto un comitato giudiziario per il 31 gennaio alle ore 16. Alla presenza del sorvegliante di città, del presidente della mia congregazione e di un altro anziano, ebbe inizio il processo.
La loro prima argomentazione fu: "Considerando la posizione che hai preso nel corso del convegno, dove hai pubblicamente criticato la "sposa di Geova", ("lo Schiavo fedele e Discreto"), e che nella lettera al sorvegliante di città hai confermato le tue accuse, ti riteniamo dissociato dalla nostra Organizzazione. Pertanto, comunicheremo in congregazione che te ne sei andato perché non ritieni di essere più parte di essa". Da tale premessa nacque un contraddittorio della durata di tre ore circa.
Cercai di fare capire che le loro affermazioni erano completamente prive di logica, ma tutto fu inutile: rimasero nella loro posizione, perché secondo loro, oltre alle accuse rivolte al Corpo Direttivo con il mio intervento avevo mandato a monte una delle manifestazioni organizzate in campo nazionale per far conoscere la situazione dei Testimoni durante il nazismo. Quindi una chiara prova di strumentalizzazione dell'evento per i propri fini.
È stato significativo il fatto che ogni volta che introducevo il discorso sul contenuto della "Dichiarazione dei Fatti", i tre tergiversavano e leggevano sempre e solo la lettera pubblicata nella rivista Torre di Guardiadell'8/9/1999, dimostrando inoltre che, non avendo letto la "Dichiarazione", contravvenivano palesemente agli atti formali di qualsiasi regolare "processo" che richiede come norma l'esame del testo a cui si è fatto riferimento.
La mattina seguente ricevetti una telefonata dallo stesso presidente di congregazione il quale mi diceva testualmente: "Maurizio, non vorremmo averti dato l'impressione che volevamo mandarti via a tutti i costi, perché noi le pecore le vogliamo tenere e non perdere. Probabilmente lo stato d'animo di ieri sera era eccessivamente alterato, pertanto ti vorremmo incontrare domani". All'incontro successivo trovai due anziani estranei al primo comitato i quali mi informarono che non dovevo tener conto di quanto era successo la sera prima. Si scusarono e mi chiesero di ricominciare tutto da capo. Accettai e spiegai qual era stato lo scopo del mio intervento per altre tre ore, dato che anche loro non conoscevano il contenuto della "Dichiarazione dei Fatti".
Due settimane dopo, ricevetti una telefonata dal solito sorvegliante di città, il quale mi chiedeva se potevo recarmi la domenica seguente presso la stessa sala per un altro comitato giudiziario. Ci andai e ritrovai i tre anziani del primo comitato (più uno diverso) i quali decisero che mancavano gli elementi per la disassociazione.
Tutto sembrava andare per il meglio sino al 5 marzo 2002, quando una signora scrisse alla "Nuova Gazzetta di Modena" chiedendo alla Comunità ebraica cosa ne pensasse del documento "Dichiarazione dei fatti" e se gli ebrei ritenevano opportuno partecipare ad altre iniziative con i testimoni di Geova, dato il mio intervento. A quella lettera rispose l'addetto stampa dei Testimoni modenesi presentando le tesi della Società Torre di Guardia, ma inducendo il lettore a pensare che io fossi contrario ad un documento scritto dai dirigenti della Società sulle stragi naziste.
Infatti, la lettera iniziava parlando di "una risposta ad un documento sullo sterminio nazista pubblicato dai testimoni di Geova nel 1933"! Ma questo non era né il tema né il contenuto del documento che io avevo denunciato, e l'addetto stampa, che era anche l'organizzatore della manifestazione, lo sapeva benissimo! Mi sembrò doveroso allora fornire altri chiarimenti. Così in data 4 aprile sullo stesso quotidiano apparve una mia lettera che, oltre a spiegare l'accaduto, per dissipare qualsiasi dubbio, riportava anche un'eloquente parte del documento da me criticato (le lettere sono visualizzabili cliccando qui).
Dopo quattro mesi dalla pubblicazione di quest'ultima lettera, il 6 agosto 2002, venivo convocato per un nuovo comitato giudiziario. Quando chiesi all'anziano quale fosse la motivazione, questi rispose che in seguito alla mia lettera al giornale erano giunte dalla filiale di Roma delle disposizioni che mi dovevano essere comunicate. Il comitato era composto dagli stessi anziani del precedente (con l'aggiunta di uno nuovo) e l'accusa era sempre la stessa, con l'aggravante di avere ripetuto in pubblico - scrivendo al giornale - le critiche al gruppo dirigente del 1933 ed a quello attuale perché non lo aveva condannato.
Feci presente che nella risposta alla signora da parte del nostro addetto stampa vi erano parecchie imprecisioni che evidenziai lasciando gli anziani alquanto sbigottiti. Presi dalla borsa l'articolo e lo feci loro esaminare.
Dopo averlo letto con attenzione, questi telefonarono subito a casa dell'addetto stampa, il quale disse di non ricordare niente e di non avere nemmeno la copia originale della lettera che aveva scritto al giornale. Allora sostennero che forse il giornalista aveva fatto delle aggiunte alla lettera dell'addetto stampa. Mi dissero: "Hai fatto pensare a quelli del mondo che tra il popolo di Geova c'è divisione, che non c'è unità. Che si possa criticare o ergersi a giudice di coloro a cui Geova si è compiaciuto di far pervenire la luce della verità e che si possa alludere che Geova non sa gestire le cose di casa sua. Hai avuto la presunzione di trovare da ridire su come operi Geova e sui tuoi compagni di fede ed inoltre, nella guerra che stiamo combattendo contro il mondo di Satana, tu ti sei rivoltato e hai sparato contro i tuoi generali, lo Schiavo fedele e discreto".
Nel tentativo di dimostrare che all'interno della congregazione geovista esisterebbe la libertà di espressione (ma loro stessi, con le loro azioni, stavano smentendo quanto sostenevano a parole) e che i Testimoni sono stati "in prima linea nel combattere nel mondo per questa importante libertà", citarono una loro pubblicazione, la Torre di Guardia del 1996, dal titolo "L'evoluzione storica della libertà di parola". Risposi che conoscevo molto bene quell'articolo, ma loro e l'Organizzazione lo stavano contraddicendo, perché quando parlano di libertà di parola intendono ovviamente solo la loro di libertà. La risposta fu che la libertà di parola esiste solo per edificare quanto sostiene l'Organizzazione. Tutte le mie rimostranze a questi assurdi concetti di libertà a senso unico furono inutili.
Mi informarono che, pur non avendo riscontrato elementi di apostasia, venivo disassociato in quanto non mi ero pentito delle mie affermazioni. Se non ci fosse stato l'incidente (per loro) dell'addetto stampa, tutto si sarebbe risolto molto rapidamente visto che le argomentazioni presentate erano come quelle preparate nello schema di un discorso, dove non viene ammesso alcun contraddittorio. Da questo compresi cosa intendeva dire l'anziano quando parlò di "disposizioni giunte da Roma".
Il 16 agosto 2002 fu così data comunicazione della mia disassociazione nella "Sala del Regno" che frequentavo. Per avere obiettivamente ed onestamente denunciato un documento dichiaratamente anti-ebraico ed in contrasto con la "neutralità cristiana", pubblicato dalla Società Torre di Guardia nel 1933 e mai ritrattato, venivo formalmente espulso dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, espulsione, che secondo i loro intendimenti sulla Parola di Dio, non mi darà più in eterno la possibilità di una futura resurrezione, previo "pentimento" (= ritrattazione delle mie coscienziose convinzioni): condannato quindi a morte eterna!
Con queste riflessioni so di collocarmi nella categoria da loro definita degli "apostati", ma il vero reato di questo genere di "apostati", è sempre e soltanto quello di affermare semplicemente la verità. La verità visibile e palpabile per tutti coloro che sono Testimoni di Geova e non hanno ancora portato il loro intelletto all'atrofia. Ovvero la verità che ti fa capire che in mezzo ai Testimoni di Geova non si sta di certo edificando il cristianesimo, ma qualcosa che contraddice ogni esigenza (e esperienza) di libertà, giustizia, amore e tolleranza, ove a volte anche i più conformisti vedono e comprendono. Così l'espressione di verità diviene un delitto, quello di "apostasia".
Durante il regime sovietico anteriore al 1956, se si voleva mettere al muro qualsiasi dissidente, era sufficiente affibbiargli l'appellativo di "trotzkista" sinonimo di "controrivoluzionario", "antipartito", "spia" e "nemico del popolo", ma in realtà non era altro che un cittadino che "vedeva" le vere contraddizioni di quel regime. Oggi, chiunque "vede" le contraddizioni della Società Torre di Guardia, viene considerato allo stesso modo. Tutti i Testimoni di Geova sono quindi invitati all' "ottusità volontaria", cioè credere il contrario della pura e semplice verità. Così in tale abnorme situazione, sono stigmatizzati gli "apostati": coloro che hanno "l'incoscienza" di volere dire la verità.
La schiavitù è vietata da tutti i paesi civili, uomini in catene non sono più trasportati da un continente all'altro, ma schiavitù è anche dipendenza psicologica, soggezione dello spirito e qui bisogna stare attenti. Schiavitù è anche non potersi difendere dalla forte pressione di un potere vincolante all'eccesso, di un potere che contrasta l'identità individuale, che ti abbruttisce intellettualmente, che ti emargina non appena professi un'opinione diversa. Anche questa è schiavitù, forse peggiore di quella esercitata con catene autentiche, perché quelle si vedono, ma queste sono nella mente, nella coscienza, nell'anima, che qualsiasi legge cosmica vogliono libere e affrancate. Schiavo è chiunque sia succube di una visione distorta della vita, quella che ti fa credere che gli ordini impartiti da uomini... provengano da DIO! (Matteo 15,9; 1 Corinti 7,23).
Maurizio Pederzini