Testimoni di Geova
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Lettere e articoli vari sui Testimoni di Geova

Articolo pubblicato sul quotidiano La Nazione, del 5 agosto 1998

LA STORIA/ SI CONVERTE PER... AMORE

Lascia i Testimoni di Geova
Cacciato di casa dalla madre
servizio di
Federico Cortesi

Dopo che la madre venne convinta ad entrare nei Testimoni di Geova anche il figlio fu costretto ad aderirvi. Il giovane trovò poi l'amore, anzi quello con l'A maiuscola, sposò la ragazza e cercò di convertirla. Ma accadde esattamente il contrario e così lui abbandonò i «fratelli» (anzi venne espulso). Un allontanamento pagato a caro prezzo perché trovato l'amore sensuale perse quello della madre: la madre infatti lo cacciò di casa e non volle più sapere nulla di quel figlio apostata.


È LA STORIA di Nicola C.


un uomo di origini meridionali, ma che da alcuni anni vive in Toscana. Ha voluto raccontarcela per evidenziare «come è facile entrare in questa setta di bella apparenza, ma difficile uscirne».
«Dopo gli anni bui passati nel mio paese del Sud e una travagliata esistenza con mia madre Testimone di Geova - afferma - mi sono sposato felicemente con una brava ragazza con cui condivido affetto e ideologie.

Non ho però dimenticato le sofferenze causatemi nell'adolescenza dalla triste scelta di mia madre che, dopo essere rimasta vedova, si fece convincere da alcune paesane a entrare nei Testimoni di Geova; e di conseguenza anch'io dovetti aderire. Per alcuni anni ero addirittura portato al fanatismo ossessivo per l'organizzazione, ma in seguito conobbi una ragazza dolcissima, che ho poi sposato. Il mio primo scopo era quello di convertirla, ma essa con amore riuscì a smussare le esaltazioni morbose che mi caratterizzavano, portandomi piano piano a ragionare, confrontare e decidere con il mio cervello. E così ho capito ciò che prima non potevo o non volevo vedere: il modo di vivere settario del pianeta 'Testimoni di Geova'».

«Lascio immaginare - continua Nicola C. - quello che produsse questa mia nuova e veritiera luce sia in casa che in congregazione. Venni processato ed espulso per apostasia, senza possibilità di difesa, mentre mia madre fu accusata di non aver informato in tempo i sorveglianti della trasformazione che stavo subendo. Ma la vera tortura per me è stato quando mia madre amatissima, e dalla quale prima della conversione al geovismo ero riamato, dovendo dare prova di ubbidienza all'organizzazione, mi cacciò di casa interrompendo con me ogni rapporto».

per visualizzare l'articolo originale

Così mia madre mi ha abbandonato
Lettera inviata al quotidiano Il Tirreno, il 27 novembre 1994.


VORREI lanciare un accorato appello a mia madre e non trovo altra maniera che questa, anche se so benissimo che a lei come Testimone di Geova non sarà consigliato leggerlo. Sono uscito fuori dall'Associazione dei testimoni di Geova per una serie di circostanze e ora gli anziani mi tengono lontano da mia madre convincendola a punirmi con il suo comportamento completamente distaccato dalla mia persona come se io non esistessi proprio. È questo il classico comportamento che si usa con le persone che escono dalla congregazione.

Sono un ragazzo di 22 anni e insieme a mia madre sono entrato nei T. di G. da adolescente. Da un po' di tempo ho trovato un buon lavoro e vorrei sentirmi finalmente libero di me stesso. Sono stato costretto per il lavoro a tralasciare un poco il servizio di propaganda che ogni T. di G. deve portare avanti sopra ogni cosa. A questo punto sono iniziate le persecuzioni degli anziani e degli altri fratelli per convincermi a lasciare il lavoro impegnativo che ho. Purtroppo loro come sistema di dissociazione si insinuano nella coscienza di mia madre affinché non mi ami più. In questa maniera i «fratelli» hanno raggiunto il loro scopo, isolarmi dagli affetti e dalle amicizie. Ormai ho capito troppo bene cosa significhi appartenere a tale organizzazione.

Vorrei tanto che mia madre potesse leggere questa lettera e che anche lei capisse quanto male fanno coloro in cui crede ciecamente. Dove non c'è vero amore la parola «fratellanza» che loro sventolano per attirare le persone deboli è solo un vincolo che tiene prigionieri.
Simone T.

per visualizzare la lettera originale.

Ho abbandonato i Testimoni di Geova
Lettera al quotidiano la Repubblica - 16 dicembre 1997


Sono una ragazza che ha ritrovato finalmente la felicità e la serenità dell'animo. Ho la necessità di esternarlo a tutti perché considero ciò una vera fortuna. Sono uscita dalle invisibili catene in cui mi tenevano i Testimoni di Geova. Ora ho davanti a me la vera libertà, che purtroppo aveva perso ogni significato da quando un malaugurato giorno detti ascolto alle lusinghe e alla falsa amicizia di cui mi facevano oggetto i cosiddetti fratelli della congregazione.
Debbo dire che sono stata salvata proprio dalla doppia personalità che assumono coloro che fanno parte dei Testimoni di Geova.

In tempo sono riuscita a comprendere l'enorme sbaglio che stavo commettendo; infatti entrando nella loro colossale organizzazione avevo perso la possibilità di poter pensare e agire con la mia testa. Non provavo più amore per la famiglia o per i vecchi amici. Passavo le giornate con l'ossessivo e costante pensiero di essere come loro volevano; ma quello che loro vogliono non porta interiormente niente di positivo, perché il distacco da tutto il mondo che predicano continuamente lascia tanto disagio e tanta confusione nei sentimenti.
Ritorno a dire che sono stata fortunata ad aprire gli occhi e prego per i miei fratelli che ancora sono là dentro inconsapevolmente infelici.

Romina Sardi
Firenze
per visualizzare l'originale

                                                
                                                                       

 La vita ceduta a una setta
Inserto del periodico bergamasco
La Nostra Domenica

(n.23, 22 giugno 2003)

Sono entrato nel gruppo a 17 anni, per uscirne dopo i 50 a fatica,
completamente svuotato

Le scrivo, perché desidero esporle la mia storia. Ho aderito a... nel 1965, all'età di 17 anni. Per questa «nuova fede» ho abbandonato la mia famiglia d'origine che si opponeva a questa scelta. All'epoca l'organizzazione a cui appartenevo vietava ai suoi adepti di fare sia il servizio militare che quello civile. Così ho scontato tre anni di carcere militare. Mi sono sposato e i miei figli sono cresciuti secondo questa dottrina. Tutta la nostra vita era lì. Abbiamo fatto ingenti sacrifici: in nome di questa «fede» abbiamo rinunziato alla nostra unicità e ad ogni aspirazione personale.. All'interno di questa organizzazione ho ricoperto incarichi di responsabilità.

Corsa ai privilegi
Questo mi portò a costatare come certi uomini «preminenti» si comportassero in maniera ingiusta e dittatoriale nei confronti dei più deboli. Notavo anche la corsa ai «privilegi». Il servilismo scandaloso di alcuni; che pur di accedere a qualche incarico di rilievo erano disposti ad agire in malafede. Il tutto perfettamente camuffato da zelo fanatico. la mia opposizione a questi comportamenti mi costò l'emarginazione dal gruppo. Questo provocò grosse sofferenze alla mia famiglia. I «capi» facevano forti pressioni sui miei familiari affinché io ritornassi ad un comportamento «corretto».

Ridotti a sudditi
Nel mio isolamento ho avuto molto tempo per riflettere. Così ho scoperto come quest'organizzazione non insegni la verità ai suoi sudditi. Sì, perché purtroppo tutti noi eravamo ridotti a sudditi. Non desidero più far parte d'organizzazioni che nel nome di un dio vendicativo fanno violenza all'uomo, rendendolo schiavo della paura e dell'ignoranza. Per poi sfruttarlo. Fortunatamente sono riuscito a scappare, anche se malconcio.

Tanti anni persi
Ho speso però un'intera esistenza alle dipendenze del nulla. Questa è la follia dei «culti totalitari», e io e la mia famiglia ne siamo stati vittime. Adesso mi lecco le ferite e se qualcuno ha qualche balsamo per lenire il mio doloro è bene accetto.

Risposta
(a cura di Patrizia Santovecchi)

Attenzione! Non presumere di essere inattaccabile
I membri di certi culti, dopo aver per decenni sfacchinato per un «compenso» divino, e tanto aver fatto guadagnare ai loro «capi», se ne vanno poi a mani vuote. Uno schiaffo è punibile come offesa materiale, e un'affermazione oltraggiosa come offesa personale, ma chi è vittima di violenza spirituale - un sottile indottrinamento - non trova nessun giudice che ripari la situazione. Se i culti distruttivi potessero essere resi responsabili in tali casi, il senso della giustizia non sarebbe così gravemente calpestato.

Danni permanenti
Infatti ci sono persone che dopo la fuoriuscita sono in condizioni misere, spesso sono indebitati e non hanno alcuna formazione professionale. Molti non hanno alcun provvedimento di ordine pensionistico né sanitario. Non possiedono nessuna protezione finanziaria per costruirsi una nuova esistenza. Entrare in un culto all'età di 17 anni e uscirne dopo i 50, vuol dire privarsi di una buona parte della vita. Vedersi scippare gli anni migliori, l'età in cui ci si interroga, ci si dedica l'università, al lavoro e alle relazioni sociali: anni preziosi che non torneranno più. A tali ex affiliati appare evidente che, quale che fosse il bisogno che li aveva spinti, questo di certo non è stato soddisfatto dall'adesione al culto.

Condizionamenti
Non è superfluo sottolineare che esistono tecniche di condizionamento, alcune delle quali raffinatissime e oltretutto «dolcissime», di fronte alle quali nessuno può presumere di essere inattaccabile in qualsiasi momento della propria vita.

Stili di vita
La spinta verso dottrine salvifiche e gruppi che fanno proselitismo talora ha fini individuali: la ricerca del benessere psico-fisico-spirituale, lo sviluppo del proprio potenziale, il cambiamento dello stile di vita; altre volte mira a mutare o rispettivamente annullare i propri rapporti con la società e la politica.

Ideali in vendita
Sono soprattutto le persone sensibili e idealiste - non già le più «deboli», come spesso si ritiene - a lasciarsi entusiasmare dalle utopie dei gruppi assolutisti; persone che cercano altri, e alti, valori, un significato di vita immortale, persone che si scontrano con un mondo dove il successo sembra essere la misura di tutto, senza offrire, ai loro occhi, lo spazio sufficiente al senso religioso. Senza la disponibilità di questa ampia cerchia di gente in ricerca, i fondatori di culti si troverebbero davanti a tribune deserte.

Poche certezze
In realtà la nostra epoca, contrassegnata dalla carenza di certezze da una parte e dalla forte esigenza di risposte dall'altra, produce continue richieste di spiritualità, armonia interiore e speranza. Uno scenario che induce a pensare che il momento d'oro per i «nuovi maestri» debba ancora arrivare.


Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova
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