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Testimonianza di F. B.
Sulla Torre di Guardia del 15 novembre 1980, p. 32, venne pubblicata l'esperienza di un TdG che subì un tentativo di rapina. Nessun Testimone di Geova saprà mai attraverso le pagine della letteratura della Torre di Guardia che quella stessa persona, additata ad esempio di incrollabile fiducia in Geova e di incontenibile zelo propagandistico, qualche anno dopo la pubblicazione della sua esperienza abbandonò l'Organizzazione disgustato per quanto venne a scoprire sulla trascorsa storia di fallimenti profetici e ripensamenti dottrinali, e sull'ostracismo sistematico delle persone, che si compie in quel medesimo gruppo. In questa pagina un'intervista al protagonista di tale esperienza.
Domanda: Quando sei diventato Testimone di Geova?
Risposta: Nel 1970 mi imbattei in alcuni Testimoni e i miei 47 anni di vita vissuta intensamente non valsero a proteggermi dal cadere nella rete che porta al fanatismo: non mi avvidi che venivo strumentalizzato quale “propagandista ambulante” al servizio di un’organizzazione editoriale ricchissima; questa esperienza durò circa 10 anni.
D: Come hai vissuto la tua adesione al gruppo dei Testimoni di Geova?
R: Poco tempo dopo la mia affiliazione, a causa delle mie competenze professionali fui impiegato sistematicamente come addetto agli impianti acustici sia a livello di congregazione locale (Napoli) sia in occasione di numerose assemblee di circoscrizione e di distretto; infatti, ero sempre pronto a dare una mano anche in occasione di assemblee alle quali non ero tenuto a partecipare: spesso, sottraendo giornate al mio lavoro di tecnico radiotelevisivo, mi sobbarcavo le spese di vitto, alloggio e trasporto per essere utile in luoghi lontani da casa, dove si tenevano grandi raduni. A causa della mia disponibilità ero noto come persona sempre pronta e disponibile a servire i “fratelli”, questa caratteristica - unitamente al mio zelo propagandistico - mi valse la nomina a “servitore di ministero”.
D: È vero che il tuo zelante impegno a favore dell’Organizzazione era ben noto ai tanti Testimoni di Geova che ti conoscevano?
R: Sì, e questa “fama” era accresciuta dal fatto che la rivista “La Torre di Guardia” pubblicò un’esperienza da me vissuta e riportata nell’edizione del 15 novembre 1980 a pagina 32. (. Ecco il racconto com’è riportato nella citata rivista:
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Il nome di Geova è una protezione
IL NOME di Geova è stato davvero una protezione per un testimone di Geova in Italia che rincasava una sera tardi percorrendo una strada buia e solitaria. Egli racconta:“All’improvviso un giovane apparve e mi fermò con tono deciso: ‘Questa è una rapina, dammi tutto il denaro che possiedi’. Mi fermai di colpo e potei subito constatare che non si trattava di uno scherzo: fui circondato da altri quattro giovani di circa 16-18 anni con dei luccicanti coltelli in mano. Subito consegnai il portafoglio e mentre uno di loro toglieva il denaro che c’era dentro, un altro mi sottrasse l’orologio e altri presero tutto ciò che avevo nelle tasche del vestito. Quando offrii l’anello nuziale uno mi disse: ‘Questo no! Non si tocca. Dammi piuttosto la catenina che porti al collo’. Risposi che non portavo né catenina né portafortuna, perché ero testimone di Geova.“Avevo appena finito di dirlo quando alle mie spalle uno di loro disse: ‘Abbiamo commesso uno sbaglio. Queste sono brave persone. Li conosco’. Mi volsi allora verso colui che aveva parlato e iniziai a dare testimonianza incoraggiando i giovani a vivere onestamente. Mentre parlavo, con mia meraviglia avvenne che ognuno di loro incominciò a restituirmi quello che mi era stato sottratto, uno i soldi, un altro l’orologio, finché riebbi indietro ogni cosa. Mi fu chiesto se li avrei perdonati, e io dissi loro che da parte mia non nutrivo alcun rancore nei loro riguardi, ma piuttosto che dovevano chiedere perdono a Geova con cuore sinceramente pentito. Ringrazio Dio di avermi protetto in quella circostanza”.Vere sono le parole di Proverbi 18:10: “Il nome di Geova è una forte torre. Il giusto vi corre e gli è data protezione”.
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D: Per quanto riguarda questa esperienza, puoi darci qualche ragguaglio in più rispetto a quanto venne narrato a p. 32 della Torre di Guardia del 15 novembre 1980?
R: L’episodio riportato nella rivista presenta delle difformità rispetto a quello che accadde realmente:
- il fatto avvenne di giorno e non di “sera tardi”;
- il luogo non era “una strada”, ma il tracciato di un isolato percorso ferroviario in disuso, che in quell’occasione adoperai come scorciatoia obbligata per rientrare a casa dopo una prestazione lavorativa; ovviamente ero cosciente di incamminarmi per un percorso solitario non esente dal rischio di brutti incontri;
- i malviventi non erano armati;
- io menzionai la mia affiliazione religiosa solo per spiegare perché non indossavo amuleti o simboli religiosi, certamente non ero in condizione di “iniziare a dare testimonianza”; piuttosto mi premurai di incoraggiare i malviventi a trovarsi un lavoro invece di rischiare la galera con comportamenti delinquenziali;
- nessuno dei malviventi mi chiese perdono, né io li invitai a farsi perdonare da Geova per il semplice fatto che questa esortazione verosimilmente sarebbe caduta nel vuoto.
D: Quali circostanze ti hanno indotto a un riesame critico della tua adesione?
R: Nel 1980, in occasione di un’assemblea dei Testimoni tenuta allo stadio “S. Paolo” di Napoli, ebbi l’occasione di constatare la profondità dell’ipocrisia dei dirigenti responsabili del congresso in quanto si voleva attribuire la responsabilità di un guasto tecnico all’impianto acustico (del cui funzionamento ero uno dei responsabili) a dei “fratelli” dissidenti, incolpandoli di una dolosa manomissione dello stesso. Feci presente ai responsabili che tale accusa sarebbe stata infondata in quanto il malfunzionamento dell’impianto era dipeso da un guasto tecnico e non da un’azione di sabotaggio, ma l’insistenza dei miei interlocutori mi indusse a pensare che essi avrebbero voluto comunque formulare l’accusa avvalendosi della mia competenza tecnica, artificio al quale mi opposi con determinazione.
Inoltre, in quella stessa occasione ebbi modo di notare come i responsabili di quel convegno, alla stregua delle SS germaniche, strinsero una stretta sorveglianza attorno ai “fratelli” dissidenti (due famiglie composte di 4 persone). Preciso che ho conosciuto bene il comportamento delle vere SS naziste perché sono stato prigioniero di guerra a Torun, in Polonia.
Per giunta, in occasione di un’assemblea successiva, tenuta a Caserta, il padre di uno di quei dissidenti (divenuti nel frattempo dei “disassociati per apostasia”), chiese di avere un colloquio chiarificatore con un esponente della Betel di Roma, presente al congresso. Preciso che questo padre era uno stimato Testimone di lunga militanza e riguardo alla sua fedeltà all’organizzazione non sussisteva alcun dubbio.
Avendo intuito che il colloquio richiesto si sarebbe incentrato sulla questione delle numerose espulsioni per apostasia che in quel tempo venivano decise in Campania, i responsabili dell’assemblea impedirono l’incontro di quel Testimone con il rappresentante della Betel inventandosi il pretesto che quest’ultimo era dovuto partire per Roma con urgenza; questa era una menzogna perché io stesso potei constatare la presenza di quest’autorevole rappresentante della Betel sul luogo dell’assemblea anche dopo che era stato detto al fratello che quel personaggio era già andato via.
Successivamente, in un’altra assemblea, questa volta a Benevento, si negò di nuovo a quello stesso fratello un altro incontro con uno dei responsabili romani del movimento.
Questi episodi mi risultavano nauseanti, ma allora in cuor mio pensavo che “Geova avrebbe ristabilito ogni cosa” smascherando l’ipocrisia di alcuni dirigenti irresponsabili.
Occorre precisare che all’epoca – eravamo alla fine degli anni Settanta del secolo scorso - c’era un bel po’ di fermento in diverse congregazioni della Campania a causa di una vera e propria “caccia all’apostata”; in quelle circostanze autorevoli “anziani” – alcuni dei quali conoscevo e stimavo da molto tempo – furono espulsi e molti altri abbandonarono il Movimento sulla scia di un argomentato dissenso espresso e pubblicizzato da quegli ex “anziani”.
In quel contesto, siccome una delle accuse mosse all’Organizzazione era quella di essere molto interessata alla diffusione di letteratura anche per fini economici, decisi di smentire la fondatezza di quest’accusa; perciò apportai qualche modifica al mio modo di “predicare” nel senso che, pur continuando a svolgere quest’attività con zelo, decisi di parlare alla gente di casa in casa servendomi solo della Bibbia senza proporre l’acquisto di riviste e libri pubblicati dall’Organizzazione alla quale appartenevo. In altre parole, pur restando fedele nei contenuti all’insegnamento del Corpo Direttivo, volevo dimostrare a me stesso e agli altri che i Testimoni di Geova non svolgevano la loro opera come se fossero “venditori ambulanti” di letteratura religiosa.
D: Poi cosa accadde?
R: Questo mio comportamento non passò inosservato e un altro Testimone, con il quale avevo svolto questa “atipica” attività di propaganda, segnalò la mia condotta agli “anziani” di congregazione; questo mio originale modo di predicare fu, infine, sottoposto all’attenzione dei sorveglianti di circoscrizione e di distretto durante un’assemblea, dove fui interrogato sul comportamento da me assunto; dinanzi a loro confermai la mia intenzione di continuare l’opera di predicazione senza l’ausilio della letteratura prodotta dall’Organizzazione. I sorveglianti inquirenti mi intimarono di smettere tale comportamento perché non era in armonia con le direttive dell’Organizzazione.
Questa loro aspra presa di posizione mi indusse a ripensare alle critiche degli “apostati”, addirittura appresi per bocca di un “anziano” della congregazione, alla quale ero assegnato, che due ex “anziani” avevano pubblicato un libro di critica all’Organizzazione; perciò cercai quel libro, lo lessi avidamente, approfondii diverse questioni e mi convinsi della fondatezza delle critiche rivolte al Corpo Direttivo. Il successivo passo obbligato fu la mia dissociazione.