Testimoni di Geova
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Le catene del credo

Esperienza pubblicata sul quindicinale Il Regno N.867 – 15 ottobre 2000.
Il nome della persona è stato cambiato



Avevo solo 12/13 anni e già mi chiedevo perché ero su questa terra, e se Dio avesse in mente uno scopo per me. Solo adesso mi rendo conto quanto quei pensieri di bambina abbiano influito nel determinare il cammino della mia vita, poiché mi prepararono mentalmente a recepire il messaggio che da lì a pochi anni mi fu presentato. Una donna mi mostrò, dalla sua Bibbia, che Dio presto avrebbe portato un nuovo mondo, deve le persone sarebbero vissute in pace, dove la morte non ci sarebbe più stata, dove giustizia e diritto avrebbero regnato per sempre. Ma per far questo Dio avrebbe distrutto tutti i malvagi: era perciò urgente ascoltare quello che Lui aveva da dirci. Bibbia alla mano, spiegò anche che tra coloro che si preparano per il nuovo mondo, si possono trovare persone sincere che amano la giustizia e la fratellanza e quindi, in sostanza, era possibile vivere sin d’ora in un paradiso spirituale, all'interno del solo vero popolo di Dio: i testimoni di Geova.

È facile immaginare come tutto questo fu accolto dalla mia mente di adolescente. Così quando all’età di 16 anni conobbi i TdG, pensai che questi erano la risposta ai miei interrogativi. Iniziai con loro uno studio biblico, con l’entusiasmo della mia allora giovane età e del tutto inconsapevole della vera natura dell’organizzazione, alla quale mi stavo legando psicologicamente sempre di più. In realtà i TdG non studiano la Bibbia, anche se loro asseriscono il contrario, ma si servono di strumenti ausiliari, piccoli libri dove sono contenute le dottrine principali dell'organizzazione. Qua e là troviamo delle citazioni bibliche inserite allo scopo di avvalorare e sostenere le loro argomentazioni, citazioni il più delle volte del tutto avulse dal loro contesto. Questi manuali comunque hanno lo scopo primario di introdurre il lettore nella disposizione mentale voluta dall’organizzazione. Se poi aggiungiamo che il testo della loro Bibbia è artefatto, e questo all’insaputa anche degli stessi TdG, possiamo comprendere meglio come persone semplici possano credere che tutto quello che questa organizzazione insegna sia proprio ciò che Dio dice.

L’organizzazione adotta tecniche di persuasione molto raffinate per indurre gli inconsapevoli neofiti ad aderire “completamente” e ad ubbidire passivamente alle “verità assolute” che di volta in volta fanno comodo ai vertici. Col tempo, inesorabilmente nel pensiero dell’adepto si fa strada il concetto che quello è il “solo” vero popolo di Dio e che non può esserci salvezza al di fuori di esso. Nell’inconscio l’organizzazione e Dio entrano in simbiosi, quindi ubbidire all’organizzazione vuol dire ubbidire a Dio e disubbidire all’organizzazione significa disubbidire a Dio. Di conseguenza i vertici, chiamati dai TdG anche “Corpo Direttivo” (CD), possono “consigliare” qualsiasi comportamento che ritengono utile per il raggiungimento dei loro fini, sicuri che la maggior parte delle “pecore” ubbidirà senza troppe domande. Tutto questo e molto ancora mi era ovviamente sconosciuto, così la mia giovane mente subì la trasformazione voluta: la metamorfosi da persona ad automa.

L’essere TdG diventò per me la cosa più importante della mia vita, anzi diventò l'unica cosa della mia vita. Nella mentalità del TdG non c'è posto per amicizie al di fuori dei confratelli; gli stessi familiari se non si convertono al geovismo non possono essere considerati buone compagnie. “Tutto il mondo giace nel potere del maligno”: quindi è comprensibile che Satana usi gli “estranei al gruppo” per cercare di scoraggiare il “fedele” dal proseguire nel servizio “sacro” nel popolo di Dio. La persona “saggia” sicuramente eviterà tali compagnie e si terrà stretta ai “veri” servitori di Dio. Inevitabili diventano così gli scontri familiari e i risentimenti che essi producono; cresce all'interno della famiglia la consapevolezza che il proprio caro non è più lo stesso, che qualcosa è sopraggiunto a stravolgere il delicato equilibrio familiare, ma cresce anche l’incredulità davanti ai ragionamenti nuovi che entrambe le parti si trovano a fare. In quanto “parto di Satana”, nella mente del neofita sono banditi i compleanni, la Pasqua, il Natale e quante altre festività possano esserci nel calendario e nella tradizione.

L’inconciliabilità dei due mondi, all’interno della famiglia, presto diventa un dato di fatto, il dialogo si interrompe per trasformarsi in testardo mutismo rotto solamente da sporadici o frequenti - dipende dai soggetti o dalle circostanze - scatti d’ira seguiti da litigi più o meno violenti. Lontano ormai anche affettivamente dai propri cari, l’unico riferimento per l’adepto diviene il gruppo, dove egli è convinto sempre più di poter trovare “vera” comprensione ed affetto. A questo punto il cerchio si chiude: isolato da parenti e amici, visti adesso come potenziali nemici, l’individuo si trova fuori dalla società reale, psicologicamente pronto ad adottare come nuova famiglia il gruppo di appartenenza ed ad incamerarne i metodi e i comportamenti come gli unici accettabili.

Il controllo capillare dell’informazione da parte dei vertici fa sì che ogni informazione che raggiunge il TdG sia già stata selezionata e presentata secondo il pensiero del CD. Questa informazione a senso unico impedisce alla mente il normale confronto dei dati con la successiva valutazione critica. Un metodo dell’organizzazione è quello di presentare ogni informazione non in linea con la dottrina ufficiale come fuorviante, soggetta alla volontà di Satana: in questo modo ogni possibile valutazione critica viene fatta interiorizzare ai “fedeli” sempre come distruttiva, “strumento satanico” del quale il Diavolo si serve per indurre i “leali” a ribellarsi a Dio. In queste condizioni la mente si appiattisce, non essendo più in grado di elaborare correttamente le informazioni.

Anche la “legge” di non poter rivolgere nemmeno un semplice saluto a chi è uscito, pena l’espulsione, e “l’obbligo” della delazione, vengono impartiti dall’organizzazione per timore che certe informazioni “pericolose” inducano i più ad andarsene. Se qualcosa non funziona secondo gli schemi prefissi, gli adepti vengono convinti che la colpa è da ricercare sempre e unicamente in se stessi, accrescendo così in loro il senso di inadeguatezza. Quindi, censure mentali indotte, interiorizzazione della paura di tutto ciò che è esterno all'organizzazione: sindrome dell’assedio, eccessivo senso di colpa, timore di perdere i soli punti di riferimento ormai tutti all’interno del gruppo, impossibilità di un’elaborazione critica delle informazioni chiudono l’individuo dentro un’invisibile gabbia da dove difficilmente con le sue sole forze riuscirà a volar via.

In questa condizione mentale “aliena nel mondo” sono vissuta all’interno dei TdG per oltre 20 anni, sino al giorno in cui per motivi a me forse non del tutto conosciuti, la mia mente faticosamente ha cominciato a porsi dei perché, da prima timidamente poi sempre con più insistenza. Alla fine i perché erano così dirompenti che non mi era più possibile far finta che non esistessero. Così crebbe in me la necessità di risposte, iniziai a far ricerche come non mai prima in vita mia. Inizialmente, a causa del forte condizionamento ricevuto, usavo unicamente materiale dall’organizzazione; comunque quegli studi più attenti mi portarono a fare delle importanti constatazioni, che mi indussero a voler sapere più precisamente in quale tipo di organizzazione mi trovassi, e se realmente questa potesse rappresentare Dio sulla terra. La mia ricerca fu lunga e molto dolorosa, un tormento. Ad accrescere la mia angoscia c’era l’imminente matrimonio di mio figlio anche lui TdG.

Sarebbe bastato manifestare agli anziani, i capi delle locali congregazioni, i risultati delle mie ricerche, e dir loro che in base ad esse era mio desiderio approfondire alcune dottrine con un sacerdote cattolico, per farmi bollare come “posseduta dal demonio” e quindi costretta adabbandonare l’organizzazione: questo mi avrebbe tolto la possibilità di partecipare al matrimonio di mio figlio. Nessun TdG avrebbe potuto mangiare allo stesso tavolo con me, ex TdG, né tanto meno rivolgermi la parola. E i TdG devono sposarsi solo con altri TdG. Così dovetti mascherare i miei veri sentimenti, continuando a frequentare le adunanze, dove gli insegnamenti impartiti ormai per me erano diventati fonte di sofferenza; nel mio cuore quei dettami suonavano come bestemmie a Dio; ma dovevo tenere duro almeno sino al giorno del matrimonio. Credevo di impazzire, nella mia mente appariva sempre più evidente la loro falsità religiosa, mi sentivo in trappola. Perdere i miei cari, mio marito, i miei figli nel nome della libertà, come il mio cuore forte mi urlava, o rimanere schiava di quel “dio” crudele, che l’organizzazione aveva elevato a suo vindice pronto ad uccidere, nell’imminente guerra da lui condotta, miliardi di persone, uomini donne bambini, colpevoli solo di non appartenere ai TdG.  

Arrivò il matrimonio di mio figlio, giorno che molti genitori aspettano trepidanti e commossi. Io invece stavo lì, muta, estraniata da quel mondo che non sentivo più mio, guardavo i “fratelli” di un tempo e li vedevo ormai distanti e sconosciuti. Inebetita seguii lo svolgimento degli eventi. Sapevo che dopo il matrimonio non avrei più potuto tacere, ero consapevole che probabilmente quel giorno poteva segnare la perdita di mio figlio, e non perché come tutti gli sposi di questo mondo andava ad abitare per conto proprio, ma perché una forza feroce, esterna alla sua volontà, gli avrebbe proibito di frequentarmi.

Le mie richieste di spiegazioni segnarono i primi scontri con gli anziani, la natura delle mie domande ovviamente li mise subito in allarme e considerato che a nulla valevano i loro tentativi di dissuadermi dal continuare “ad indagare”, iniziarono a isolarmi dal resto del gruppo additandomi come compagnia non “spirituale” poiché manifestavo “spirito di indipendenza e di ribellione”. Arrivammo ai ferri corti e alle “minacce” più o meno velate, da parte degli anziani, che mi avvisarono che se non mi mostravo ubbidiente, avrebbero costituito un comitato giudiziario - trattasi di un vero e proprio tribunale interno a porte chiuse, composto da tre o cinque anziani - , dove sarebbe stato preso in esame il mio comportamento ribelle.

Il solo osar formulare delle domande indagatrici sul CD è considerata una grave forma di mancanza di fede che, se non repressa immediatamente rischia di diventare cancrena: APOSTASIA. Una parola terrificante per ogni buon TdG. Nessuno è più spregevole per l’organizzazionedell’apostata, colui che si è macchiato del crimine peggiore, l’abbandono di Dio e la negazione dei suoi insegnamenti per voltarsi volontariamente verso il suo nemico, “Satana il diavolo”. Ebbene, questa io ero diventata perloro. In me c’era poi l’aggravante di essere donna. “… le donne stiano in silenzio nelle congregazioni, poiché non è loro permesso di parlare, ma siano sottomesse,…Se, dunque, vogliono imparare qualcosa, interroghino a casa i loro mariti, poiché è vergognoso per una donna parlare nella congregazione.” (1 Cor 14, 34-35). Mai parole furono prese più alla lettera di queste dai TdG di sesso maschile.

La condizione della donna tra i TdG è di totale sudditanza nei confronti degli uomini: non era insolito vedere donne che, richiamate dagli anziani, al loro cospetto tremanti guardassero a terra in segno estremo di sottomissione. Io invece avevo smesso di guardare per terra: ora osavo affrontare gli argomenti guardandoli dritti negli occhi, come una loro pari. Questo era inconcepibile e costituiva la prova più evidente della mia completa adesione al demonio che fu il primo di tutti i ribelli. In realtà niente era più lontano da questa descrizione. Il motivo del mio dibattere non era da ricercare nella mancanza di fede in Dio, ma nel mio voler essere coerente con la mia vera coscienza non più sopita dall’indottrinamento dell’organizzazione.

Meditare autonomamente sull’amore che Dio mediante Cristo ci ha mostrato, riflettere come vivere in quell’amore, “nella libertà dei figli di Dio”, ecco cosa mi costrinse a prendere la decisione più difficile della mia vita. Andarmene, sì, non c’era alternativa: o soccombere per paura delle conseguenze e condannandomi a una non vita o vincere l’angoscia; presi carta e penna e scrissi: Io Anna….dichiaro che non desidero più far parte di codesta organizzazione. E firmai. Nessuna spiegazione, avevo già parlato tanto con loro, avevo ormai capito quanto sarebbe stato inutile cercare di far loro comprendere le motivazioni del mio gesto.

Neanche adesso è possibile raccontare in poche righe le ore, i giorni, i mesi di infinita sofferenza, il terrore di essere veramente in preda al demonio, gli incubi notturni, e la tortura peggiore: non avere nessuno con cui parlare. Il completo isolamento al quale è condannato chiunque osa trasgredire pesa sulle spalle come un macigno, il recupero in simili condizioni è lento e penoso. Il motivo che adesso mi spinge a raccontare, e di conseguenza a riaprire ferite dolorose è che, troppo spesso, le persone al di fuori da queste realtà non hanno la minima idea di cosa accade agli individui che aderiscono a certi gruppi. Ho lottato con le unghie e coi denti, per far capire anche ai miei cari la verità sull’organizzazione, che come la balena di Pinocchio ci aveva inghiottito vivi; non potevo e non volevo rassegnarmi a perderli, è stato infinitamente difficile e faticoso, in molti casi drammatico. Grazie a Dio ci sono riuscita, e insieme a loro ho recuperato la serenità e la consapevolezza che Dio non ci abbandona mai: “anche quando il tuo cuore ti condanna sappi che Egli è più grande del tuo cuore”.
Anna

Questa esperienza è stata pubblicata anche nel libro
Da Testimone di Geova a...? Un aiuto per chi vuole uscire


di Battista Cadei e Patrizia Santovecchi,
Edizioni Dehoniane, Bologna, 2002.
(Cliccare sull'immagine per visualizzare la recensione)


Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova
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24/04/2021
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