Testimoni di Geova
     analisi critica di un culto
Testimoni di Geova
     analisi critica di un culto
Testimoni di Geova
     analisi critica di un culto
Testimoni di Geova
     analisi critica di un culto
Vai ai contenuti

La Storia di un Testimone

“Così a distanza d'anni aprì la mano e aveva tre monete d'oro finto.
Forse per questo non sorrise, forse per questo non disse "ho vinto".
Richiuse il pugno, roba di un minuto, per non sentirlo vuoto…”
7 gennaio 2009

Ciao Achille, mi chiamo Massimilano, ho 40 anni e da 10 sono un TdG inattivo. Sono sposato (mia moglie frequenta saltuariamente la congregazione pur vivendo “ai margini”) e ho un figlio di 3 anni e mezzo.

Prima di tutto volevo complimentarmi con te per il sito internet InfoTdGeova che seguo da diverso tempo con attenzione e interesse. I contenuti e la forma del sito rispondono esattamente allo scopo che hai dichiarato nella home page. Le tue analisi accurate, profonde e obiettive, critiche ma non polemiche, mettono veramente a nudo le contraddizioni della dottrina dell’Organizzazione e i meccanismi settari della cosiddetta “fratellanza universale”.

Come te e molti altri ex TdG ho vissuto in prima persona l’esperienza del perverso processo orwelliano di riscrittura della realtà: l’auto-costrizione prima di dover credere, poi di rettificare e di dimenticare di aver creduto, per non trovarsi mai al di fuori della “verità progressiva” dell’Organizzazione. Avendo una mente analitica ed essendo un accanito lettore alla ricerca del senso delle cose, dall’età della maturità ho vissuto questa costante contraddizione come un insulto alla mia intelligenza. Le mie osservazioni e i miei dubbi venivano molto spesso liquidati in modo superficiale, citando brani delle Scritture non attinenti e con l’odiosa chiosa interpretativa finale “aspetta Geova!” che metteva fine ad ogni possibile discussione razionale. Da qui è nata la mia idiosincrasia per i tutti i “punti esclamativi”, sia in forma di punteggiatura che in forma di dogmi e di individui boriosi che dispensano certezze e verità.

Ho vissuto per anni la religione come un conflitto, una forma di violenza verso me stesso, dalla quale non riuscivo a liberarmi per un ricatto emotivo: il pericolo di perdere l’affetto dei miei genitori e dei miei amici più cari. I miei genitori iniziarono a studiare con i TdG quando io avevo 4 anni, nell’ormai lontano 1972 e si battezzarono l’anno seguente. Utilizzando una nota definizione “teocratica” sono in pratica “nato nella verità” dato che i miei primi barlumi di ricordi coscienti risalgono a quel periodo.

Come prova del breve periodo pre-cultista della mia infanzia resta soltanto qualche fotografia dei miei primi compleanni, miracolosamente sopravvissuta alla furia mistica iniziale dei miei genitori. Altre foto “pagane” o “babiloniche” sono state eliminate o sapientemente ritagliate “ad arte” eliminandone il contesto. Sempre in quel periodo, due sventurati putti alati in porcellana Capodimonte sono stati amputati delle appendici atte al volo e trasformati in ambigui, ignudi e monchi infanti (l’importante era che non fossero identificabili come angioletti).

Mi sono battezzato nel 1986, avevo 18 anni, questo può sembrare strano per un proclamatore “nato nella verità”. La ragione è che dall’adolescenza in poi sono stato etichettato a fasi alterne come “ribelle”, “poco umile” e “poco spirituale” non per ragioni morali, ma piuttosto “culturali”: il mio interesse per lettura, per la filosofia (il “vuoto inganno”), per la musica rock “demoniaca” (suonavo la chitarra elettrica in una band), le mie domande dottrinali, le mie osservazioni sulle norme e sulle consuetudini “farisaiche” che vigevano nella congregazione. Ricordo a tal proposito una futile e deprimente disquisizione di un anziano a proposito di una camicia grigio-scuro da me indossata durante un discorso di esercitazione della scuola di ministero, che venne da lui definita come “abbigliamento casual” (sic) non consono alla circostanza.

Subito dopo il battesimo mi iscrissi all’Università, evento accolto dai più come una sorta di affronto (non dai miei genitori che mi hanno sempre supportato). Era la fine degli anni ’80 in una congregazione con una mentalità piuttosto provinciale dove i bravi fratelli “umili” e “zelanti” una volta terminate le scuole medie o superiori intraprendevano il servizio di pioniere, mantenendosi lavorando in imprese di pulizia. Un pomeriggio mentre ero in predicazione, il fratello che mi accompagnava, anziano di congregazione, rivolse per me una preghiera ad alta voce – assolutamente non richiesta – chiedendo a Geova di darmi la sapienza dall’alto in modo da riconsiderare saggiamente la mia scelta di continuare gli studi. Per mia fortuna la sua preghiera non fu esaudita.

Ovviamente gli incarichi “teocratici” che mi sono stati assegnati sono stati al massimo – e per un breve periodo – l’usciere e il microfonista. Fino a quando per una follicolite irritativa ho dovuto astenermi dal radere la barba, che nonostante fosse tagliata molto corta e sempre ben curata mi rendeva comunque non più idoneo agli incarichi. La mia barba “contrastava la coscienza della congregazione e del corpo degli anziani” (sic).

Undici anni fa ho visto morire mio padre, colpito da una forma di leucemia acuta, dopo aver rifiutato le terapie trasfusionali. Questo evento tragico e traumatico ha segnato il mio graduale allontanamento dall’Organizzazione della quale ho fatto parte per 25 anni, 12 dei quali come TdG battezzato.

Avrei molto altro da raccontare, ma non mi vorrei dilungare troppo in questa mia prima e-mail (ritengo di essermi dilungato già abbastanza e forse troppo). Il mio intento era essenzialmente quello di presentarmi e di allacciare con te un primo contatto.
Spero di ricevere a breve una tua risposta, i miei riferimenti sono in calce.
Saluti, Massimiliano




Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova
Click sull'immagine per
accedere alla pubblicazione
 
   
       
 
   
       
24/04/2021
Torna ai contenuti