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Le dottrine

La Croce e i dizionari



Cosa dicono alcuni dizionari biblici sul significato del
termine greco stauròs, tradotto comunemente croce.

Il "Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento" (a cura di L. Cioenen, E. Beyreuther, H. Bietenhard, Ed. Dehoniane, 1976), contiene alle pagine da 408 a 412 un'ampia sezione dedicata alla voce "croce". Ecco cosa si legge a pagina 408 a proposito del significato della parola stauròs, comunemente tradotta croce:

1) a) stauròs è un palo piantato diritto (palo a punta); può servire a molteplici usi, come erigere steccati (Hom. Od 14, 11), gettare fondamenta (Thic. VII 25, 5); può avere anche il significato speciale di palizzata (fin da Omero). Di conseguenza, stauróô significa piantare pali, erigere palizzate (fin da Tucidide).

b) La prassi del diritto penale ha conferito, tanto al sostantivo che al verbo, significati particolari, e tuttavia anche piuttosto differenti. Si deve perciò andar cauti nell’associare a questi vocaboli quei particolari che la tradizione cristiana collega alla morte di Gesù.

Il verbo compare più frequentemente nella forma composta anastauróô col medesimo significato. E' intercambiabile, senza apprezzabili variazioni di significato, con anakremánnymi (Hdt. III 125, 3s; VII 194, 1s) e anaskolopízô (Hdt. IX 78,3), che significano sempre appendere (in pubblico). A seconda del tipo di applicazione penale cui si fa riferimento, può significare impalare (per es. Hdt. VII 238, 1); appendere, per disonorare una persona uccisa (per es. Hdt. III 125, 3s) o per l'esecuzione capitale (cf, testimonianze in 2a); assicurare allo strumento di tortura; crocifiggere (cf, ivi, alla fine).

Come anche indicano i casi più frequenti in cui è usato il verbo, staurós può quindi significare il palo(a volte appuntito in alto) al quale viene abbandonato un ucciso, quasi a significare una pena aggiuntiva, in segno di vergogna, sia appendendolo (così probabilmente Diod. S II 18, 2) che infilzandolo; in altri casi si tratta del palo usato come strumento di esecuzione capitale (per strangolamento o altro). Inoltre staurós è il legno del supplizio, grosso modo nel senso latino di patibulum, una trave assicurata sulle spalle; è infine, come strumento di supplizio, la croce, formata da un palo perpendicolare e da una trave orizzontale, in forma di T (crux commissa) o di † (crux immissa).

2) I vocaboli staurós e (ana)stauróô, quindi, non sono di per sé sufficienti per stabilire esattamente come avvenisse tecnicamente l'esecuzione della pena e quale significato avesse. Per  meglio determinare il significato dei vocaboli occorre perciò chiarire ogni volta in quale ambiente e da quale autorità la pena viene eseguita, e qual è il punto di vista dell'autore che descrive l'esecuzione di una pena con questi vocaboli.

Il Dizionario prosegue elencando i significati assunti dai vocaboli a seconda dell'ambiente e del punto di vista dell'autore. Vi si osserva che in oriente si usava appendere od infilzare il cadavere del condannato per esporlo alla vista e al ludibrio di tutti. Si osserva altresì che in occidente questo tipo di punizione non era usato né accettato: «L'appendere o l'assicurare a un palo di qualunque tipo, trave o croce, era un procedimento che veniva applicato a una persona ancora viva [...] L'esecuzione per crocifissione è attestata per la Grecia e per i cartaginesi; i romani devono averla presa da questi ultimo. Gli orientali invece non hanno usato né sviluppato questo tipo di crocifissione» (p.409).

                     
         
Crux commissa                Crux immissa

Descrivendo il tipo di crocifissione eseguita dai romani, il Dizionario aggiunge:

b) Al tempo di Gesù in Palestina, la condanna alla crocifissione e l'esecuzione di questo tipo di pena erano praticate soltanto dalla potenza occupante romana [...]

La pena della crocifissione era quindi intesa più come deterrente che come espiazione, come strumento di ordine al fine di mantenere il dominio vigente. È quindi del tutto logico che lo strumento del supplizio venisse eretto in un luogo ben esposto [...]

Una cosa comunque è sicura, che i romani han fatto ampio uso di questo tipo di esecuzione. È estremamente probabile che lo strumento di supplizio adottato, lo staurós,comportasse un pezzo di legno incrociato e quindi avesse la forma delle due travi in croce. Le fonti profane non permettono di dire quale fosse esattamente la forma, se di crux immissa (+) oppure di crux commissa (T). Dal momento che l'affissione di un [titlos] (titlos: termine mutuato dal latino) era tutt'altro che usuale, tale fatto non può costituire di per sé un argomento a favore della crux immissa.

Il Dizionario esprime quindi qualche incertezza sulla forma che lo staurós poteva avere nel suo uso più ampio o generale; non tutto quello che vi si legge può comunque essere applicato alla croce su cui venne appeso il Signore. Nel caso specifico della croce di Cristo, non vi è infatti alcuna incertezza — secondo quanto si legge nei Vangeli — sul fatto che tale croce fosse  provvista di un titlos.

Rileggiamo l'ultima frase citata: «Dal momento che l'affissione di un [titlos] ... era tutt'altro che usuale, tale fatto non può costituire di per sé un argomento a favore della crux immissa». Nel parlare di probabilità il Dizionario pare quindi si riferisca alle croci in generale, che potevano non essere tutte a forma di crux immissa (+), come quella su cui venne inchiodato Gesù. Ma nel caso della croce su cui venne appeso il Signore il titlos c'era e quindi doveva trattarsi di una croce dalla forma tradizionale.


Il titlos, cartello riportante la causae penae

Ecco cosa si legge a questo proposito in altre opere di consultazione: «...[la crux immissa] differiva dalla precedente la (crux decussata) per la collocazione del palo diritto (stipes) al disotto del braccio trasversale (patibulum) ... Che questa fosse la sorta di croce sulla quale il nostro Signore morì è ovvio (fra le altre ragioni) dalla menzione del 'titolo' che era collocato al di sopra del capo di nostro Signore, e dalla tradizione quasi del tutto unanime» — Cyclopedia of Biblical, Theological and Ecclesiastical Literature, di McClintock and Strong, Baker House, vol. II, pag. 576. Ristampa 1981.

«La croce era un palo verticale appuntito in alto, oppure era costituita da una trave verticale e da un'altra orizzontale sovrapposta (a forma di T, crux commissa), o da due travi intersecantisi, di uguale lunghezza (forma †, crux immissa) ... La croce di Gesù che i romani rizzarono per eseguire la condanna a morte, era, come ogni altra croce, un palo verticale con una trave trasversale» — Il Grande Lessico del Nuovo Testamento, di Gerhard Kittel, Paideia, 1965-1989.

Anche studiosi Ebrei parlano del supplizio romano, facendo anche riferimento ai vangeli: «Le croci utilizzate furono di differenti forme. Alcune furono in forma di T, altre nella forma della croce di Sant'Andrea (X), mentre altre ancora erano in quattro parti (+). Il tipo più comune consisteva in un palo (palus) fermamente fissato al terreno (crucem figere) prima che il condannato arrivasse sul luogo dell'esecuzione (Cicerone, Verrine, v. 12; Giuseppe Flavio, Bellum Iudaicum, VII, 6,4) e in un trave trasversale (patibulum), recante il "titulus", l'iscrizione che attestava il crimine (Mat. 27,37; Luc. 23,38; Svetonio, Claudio, 38). Era il palo trasversale, non il palo fisso, che il condannato era costretto a a trasportare sul luogo dell'esecuzione (Plutarco, De Sera Numinis Vindicta, 9; Mt., ibidem; Gv.19,17)» - Jewish Encyclopedia, alla voce "Crocifissione".



Il "Dizionario dei concetti biblici" descrive poi il modo in cui i condannati venivano appesi alla croce dai romani:

Sono noti due modi di erigere lo staurós. Il condannato poteva venire assicurato alla croce ancora giacente a terra, sul luogo dell'esecuzione, ed essere quindi innalzato insieme ad essa. Oppure — forse questo era il caso più normale — prima si fissava a terra il palo verticale avanti l'esecuzione; poi il condannato, legato alla trave trasversale, veniva innalzato insieme a questa e fissato sul palo verticale. Poiché questa era la maniera più semplice per assicurare il condannato sulla croce e poiché l'aggiunta della trave trasversale dev'essere presumibilmente messa in connessione con la pena del patibulum riservata agli schiavi, si può dedurre che la crux commissa rappresentasse la normalità. Quanto all'altezza, la croce non doveva superare di molto la statura di un uomo.

Tale opera di consultazione riconosce che molto probabilmente le condanne erano eseguite su una croce con due pezzi di legno incrociati. Ecco cosa si legge ancora alle pagine 409 e 410 circa il modo in cui venivano eseguite le sentenze ufficiali:

Lo svolgimento della crocifissione secondo il procedimento romano doveva essere pressapoco il seguente: dapprima avveniva la condanna legale; solo in circostanze straordinarie poteva aver luogo un procedimento sommario sul luogo stesso dell'esecuzione; se l'esecuzione doveva avvenire in un luogo diverso da quello della condanna, il condannato stesso portava la trave trasversale (patibulum) nel luogo fissato, per lo più fuori le mura cittadine. E' qui che ha la sua origine il detto «portare lo staurós», tipica espressione per indicare la punizione di uno schiavo.

Sul luogo dell'esecuzione il condannato veniva spogliato e flagellato (non è certo se soltanto qui); la flagellazione è un elemento costante nella crocifissione, tra la condanna e l'esecuzione vera e propria. Il condannato veniva legato a braccia tese sulla trave, che forse poggia sulle sue spalle. Solo in casi sporadici si parla di inchiodatura (Hdt. IX 120, 4; VII 33); non si sa con certezza se anche i piedi venissero inchiodati, oltre che le mani. La morte del condannato, appeso al palo verticale con la trave trasversale sopra, subentrava lentamente e tra sofferenze indicibili, probabilmente per sfinimento o per soffocamento. Il cadavere poteva essere abbandonato sulla croce alla decomposizione oppure a essere divorato dagli uccelli rapaci o divoratori di carogne. Sono attestati anche casi in cui il cadavere veniva poi consegnato ai parenti o conoscenti.

Alcune incertezze mostrate in quest'opera non si possono riferire alla crocifissione di Cristo così come viene narrata nei Vangeli. La Scrittura attesta infatti che, nel caso di Gesù, la flagellazione non venne eseguita sul luogo dell'esecuzione. Inoltre i Vangeli dicono che al Signore vennero inchiodati anche i piedi. I cristiani sanno quindi "con certezza" che la crocifissione di Gesù si svolse in questo modo. Invece, nella generalità dei casi può darsi che la procedura fosse leggermente diversa; questo le fonti storiche non permettono di stabilirlo con assoluta certezza.

Va infatti precisato che agli autori di questo dizionario interessa innanzitutto attestare la storicità degli avvenimenti ed in questa loro ricerca privilegiano non quello che si legge nella Bibbia ma le fonti secolari. Per esempio, nell'intento di fare una ricostruzione rigorosamente storica dei fatti "realmente" accaduti, eliminando dai racconti evangelici le "elaborazioni teologiche" dei cristiani, il dizionario ritiene improbabile che Gesù venisse flagellato in un luogo diverso da quello dell'esecuzione. Tuttavia la Scrittura attesta che nel caso di Gesù la flagellazione avvenne nei dintorni del palazzo di Pilato e non sul Golgota (Giov. 19:1).

Quest'opera definisce soloprobabile anche il fatto che Gesù portasse la croce fuori dalla città, mentre i Vangeli non esprimono nessuna incertezza in merito a questo episodio (Marco 15:20,21). Addirittura vi si legge che sarebbe estremamente improbabile che la richiesta della condanna di Gesù fosse stata fatta dai Giudei e si ritiene anche ben difficile che Pilato abbia fatto condannare Gesù per debolezza, cedendo alle loro richieste. Anche qui il racconto biblico è comunque molto chiaro (Marco 15:6-15 e passi paralleli; Giov. 19:12-16) ed elimina ogni incertezza relativa a quello che realmente avvenne nel caso di Gesù. Questo naturalmente vale per chi riconosce quello che si legge nei vangeli come un effettivo resoconto storico di fatti realmente accaduti.
La pagina originale: link


Ed ecco il chiodo della croce

Anche se le fonti storiche extra bibliche non permettono di stabilire con certezza tutti i dettagli della crocifissione, esistono, oltre ai vangeli, anche altre fonti di informazione e conoscenza. Ecco per esempio il resoconto di una scoperta avvenuta nel 1968:

L'eccezionale scoperta sulle ossa di un uomo crocefisso


Non si chiama Yehoshua Mi Nazeret (Jesus Nazarenus) ma Yohanan Ben Hagkol. Non aveva 33 anni ma 25. Il ritrovamento delle sue ossa resta tuttavia l'unica testimonianza concreta della stessa crocefissione con cui morì Gesù. L'ossuario di pietà con lo scheletro di Yohanan (il cui nome è nell'iscrizione dell'ossuario) è stato ritrovato in una grotta per sepolture a nord di Gerusalemme, nel quartiere Givat Ha Mivtar. Quando Vassilios Tzaferis, del dipartimento israeliano delle Antichità, che dirigeva gli scavi, aprì quell'urna, capì di essere di fronte a una scoperta storica. Quel morto, certo contemporaneo di Gesù, non era una personalità e nulla sappiamo di lui, neppure di quale colpa fu accusato.

E' il modo in cui trovò la morte che l'ha reso celebre: nel suo piede, all'altezza della caviglia, si vede conficcato un chiodo, con tanto di supporto di legno per tenerlo più stretto. Un ritrovamento sensazionale. "Sotto l'impero romano, in tutte le sue province" spiega Tzaferis "migliaia di persone morirono sulla croce. Secondo le fonti storiche, il supplizio era per gli schiavi, i prigionieri di guerra e i ribelli al dominio di Roma. Tra questi ultimi il più noto era Gesù, mandato a morire nel 30 d.C. circa.

Mai tuttavia avevamo trovato prova che la crocefissione avvenisse con l'uso di chiodi su piedi e mani come descritto dai Vangeli". Joseph Zias, l'antropologo israeliano che, dopo il ritrovamento, ha studiato le ossa di Yohanan Ben Hagkol, aggiunge: "E' possibile che la maggior parte delle crocefissioni avvenisse solo con l'uso della corda che il condannato, con i piedi appoggiati a un tassello di legno e le mani legate ai polsi attraverso la croce, morisse comunque di stenti in poche ore. I chiodi si conficcavano quando il martirio doveva risultare più doloroso: in casi eccezionali". Gesù di Nazareth fu uno di questi.


Ipotetica ricostruzione della posizione dell'uomo crocifisso

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'Sopra la testa non vuol dire sopra la testa ma sopra le mani...'


Inseriamo in questa pagina questa perla tratta da un anonimo sito geovista

I critici dei testimoni di Geova dicono che il fatto che al di sopra della testa ci fosse la scritta dell’accusa contro di lui indica che Gesù non poteva essere appeso con le mani sulla testa ma con le braccia tese. Ma quest’obiezione regge ad un accurato esame? Il parallelo racconto di Luca dice:

"Ora, mentre lo conducevano via, presero Simone, un nativo di Cirene, che veniva dai campi, e posero il palo di tortura su di lui perché lo portasse dietro a Gesù. … Ma altri due uomini, malfattori, erano pure condotti per essere giustiziati con lui. Ed essendo giunti al luogo chiamato Teschio, vi misero al palo lui e i malfattori, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. Inoltre, per distribuire i suoi abiti, gettarono le sorti. E il popolo stava a guardare. Ma i governanti si facevano beffe, dicendo: "Ha salvato altri; salvi se stesso, se questo è il Cristo di Dio, l’Eletto". Anche i soldati lo schernirono, avvicinandosi e offrendogli vino acido e dicendo: "Se tu sei il re dei giudei, salva te stesso". Al di sopra di lui c’era anche un’iscrizione: "Questo è il re dei giudei". – Luca 23:26-38

Matteo dice che la scritta fu posta "al di sopra della testa" mentre il racconto di Luca dice semplicemente che era "al di sopra di" Cristo, senza spiegare dove.

Questa sarebbe per i detrattori la prova decisiva che le mani di Cristo non potevano essere messe sopra la testa ma dovevano essere distese.

Matteo usa un termine, "epano", che ricorre venti volte nelle Scritture Greche Cristiane. Spesso ha il senso di "immediatamente sopra". (Matteo 21:7; Apocalisse 6:8) Ma ha anche il senso più generico di "al di sopra" come in Matteo 2:9 e Giovanni 3:31. Alla luce del racconto parallelo di Luca è chiaro che in Matteo 27:37 "epano" ha il senso generico di "al di sopra". La testa è un riferimento più importante delle mani per cui può darsi benissimo che Matteo volesse indicare semplicemente che la scritta era posta in alto.

Tutto chiaro, vero? Matteo, con molta precisione, scrive che il titolo era stato inchiodato sopra la testa del condannato; ma, sostengono questi anonimi Testimoni, con questo non intendeva dire quello che realmente scrisse, cioè "sopra la testa": Matteo voleva far capire che il cartello era posto al di sopra di lui, quindi non proprio sopra la testa ma sopra le mani...

Ci domandiamo a questo punto: se l'evangelista avesse voluto dire che il cartello era appeso proprio sopra la testa, come avrebbe dovuto esprimersi? È chiaro che non esistono altri modi per dire quello che Matteo scrisse. Se Matteo voleva dire "sopra di lui" avrebbe scritto "sopra di lui"! L'evangelista invece, a differenza di Luca che fu più generico, scrisse che il cartello con la causa poenae era messo proprio dove viene tradizionalmente e correttamente raffigurato, sopra il capo di Gesù. Si trovava sopra la testa di Gesù proprio perché le braccia erano inchiodate distese alla trave orizzontale della croce.

Questo è chiarissimo a tutti e solo chi - come questi TdG - vuole arrampicarsi sugli specchi per cercare di giustificare un insegnamento che fa acqua da tutte le parti e che viene spacciato per verità storica, può riuscire ad escogitare simili assurdità dialettiche.


 
   
       
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Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo
dei Testimoni di Geova
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