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Culti controversi e vincoli familiari


Cosa accade quando in famiglia interferiscono
forme abusanti di “religiosità”?
Parte dell'intervento del Prof. Achille Aveta al convegno
Tecniche di persuasione e
condizionamento mentale nella società odierna
Firenze, 24 maggio 2003

La famiglia, in quanto società naturale, è il nucleo fondante della società civile e dello Stato. Secondo una corrente definizione, la famiglia è un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, di parentela, di affinità, di adozione, di tutela o da vincoli affettivi, che vivono abitualmente nella stessa abitazione.

La famiglia funziona grazie a regole condivise, implicite ed esplicite, e a ruoli riconosciuti, che si modificano nel tempo, in seguito alle interazioni di tutti i membri tra loro (genitori, figli, fratelli, nonni, zii, …) e con l'ambiente in cui essa si struttura, costituito da conoscenze, relazioni amicali e  lavorative, usi, costumi e valori. Una famiglia sufficientemente equilibrata favorisce relazioni salde, le quali a loro volta agevolano lo sviluppo di personalità integre, capaci di una programmazione di vita responsabile.
 
Esiste, però, un fenomeno che contribuisce al mutamento delle strutture e delle dinamiche familiari ed è la sempre maggiore instabilità del vincolo matrimoniale. Infatti, secondo l'Istat, tra il 1980 e il 2000, in Italia sono aumentati sia i divorzi che le separazioni: nel 1980 si registravano 29.462 separazioni e 11.844 divorzi; nel 1990, 44.018 separazioni e 27.682 divorzi[1]. Tuttavia, l’Italia registra tassi di divorzialità inferiori rispetto alla media degli altri Paesi europei, ciò può essere compreso facendo riferimento all’esistenza di fattori culturali e di vincoli religiosi ancora radicati nel nostro tessuto sociale che condizionano le scelte personali. Parallelamente all’aumento del numero delle separazioni e dei divorzi, nel corso degli ultimi anni, si è registrata una minore importanza del vincolo religioso nelle proprie scelte di vita.

Sul piano psicologico, comunque, dalla coppia la separazione è vissuta spesso, in maniera consapevole o inconscia, attraverso un sentimento di “lutto” e di perdita proprio perché viene a mancare quella consuetudine sulla quale il sistema familiare si organizza. Quali che siano le cause che conducono ad una decisione così dolorosa, si tratta di dover prendere atto del fallimento di un progetto, nel quale si è investito emotivamente e materialmente. Una mancata elaborazione e interiorizzazione di questo evento e l’incapacità o il rifiuto di razionalizzarne le conseguenze, fanno sì che sempre più spesso la separazione sia vissuta in maniera conflittuale: l’esigenza primaria sembra essere, infatti, quella di addossarsi reciprocamente la “colpa”.
 
Non c’è dubbio che il problema sia culturale: una richiesta di aiuto esterno, come può essere la mediazione familiare, viene ancora oggi vissuta con disagio dai coniugi che, nella maggior parte dei casi, ritengono gli interventi di questo tipo un ulteriore motivo di sconfitta o, peggio, un doversi mettere in gioco, confrontarsi e cercare la comprensione dell’altro.

Religiosità controversa e conflittualità familiare
 
Dal quadro delle rilevazioni demografiche effettuate sulla struttura familiare nel corso degli anni, appare evidente come l’istituzione familiare non possa considerarsi una entità statica, ma appare in progressivo cambiamento, sia per quanto riguarda la sua composizione che le sue dinamiche intra ed extrasistemiche. La famiglia, al pari degli altri sistemi, si ristruttura e si adatta in corrispondenza delle molteplici influenze ambientali; la configurazione e le funzioni familiari devono considerarsi strettamente connesse al contesto storico, sociale, economico e culturale di cui l’istituzione familiare si trova a far parte.
 
Di fronte al tumulto di una conflittualità familiare le scelte religiose (che si tratti di soggetti non credenti o credenti) sembrano rimanere sullo sfondo. Comunque, si rilevano situazioni in cui la scelta religiosa di uno dei coniugi si esplicita come fattore importante all’interno della dinamica familiare e della stessa vicenda di separazione. Infatti, in determinate circostanze, l’appartenenza religiosa svolge un ruolo nella conflittualità familiare quando la “religione” è frapposta come barriera di fronte a qualsiasi possibilità di discussione e come disconferma di scelte e punti di vista, ed impedisce, nella relazione, di raggiungere il partner, quasi che l’appartenenza religiosa si ponesse come scudo per non essere raggiunti e, nel contempo, impedisce ogni possibilità di guardarsi dentro, di prendere contatto con sé e con gli altri. Parliamo, evidentemente, di una forma di religiosità che propone un sistema rigido di regole e norme di riferimento e sollecita l’adesione acritica e dogmatica ai principi di fede, scoraggiando ogni forma di contributo personale di pensiero e di relazione, offrendo ampie motivazioni all’isolamento dai rapporti sociali al di fuori del gruppo. Lo studio del fenomeno dei culti abusanti - quelli cioè che ricorrono ad un diffuso uso illecito di tecniche di persuasione e di condizionamento mentale – ha evidenziato come sia possibile, con modalità differenti, minare il rapporto dell’adepto con l’istituzione familiare di appartenenza.  

Identikit di un culto abusante  

Un culto è abusante quando viola i diritti dei suoi componenti e li danneggia mediante il ricorso a tecniche ingannevoli di controllo mentale[2]; sono principalmente i metodi operativi che rendono un culto abusante. Il modo in cui un gruppo recluta le persone, e cosa accade dopo l’adesione, è determinante per stabilire se tale gruppo rispetta o meno il diritto di ognuno di scegliere autonomamente ciò cui vuole credere; se per reclutare e controllare gli affiliati si fa diffuso uso del controllo mentale, allora si calpestano i diritti civili delle persone coinvolte.

Premettiamo che le tecniche di persuasione non sono, di per sé, negative; così come altre tecniche, possono essere adoperate per edificare o per demolire: possono essere applicate per offrire più sicurezza e libertà all’individuo o per renderlo schiavo. L’attuazione di strategie di persuasione, di per sé lecita, diventa illecita, per esempio, quando gli affiliati sono persuasi all’autolesionismo, al suicidio o al compimento di atti di terrorismo "religioso". In questo contesto, parliamo di controllo mentale come di un sistema di influenze capaci di distruggere l’identità di un individuo, sostituendola con una nuova, intesa come l’insieme delle sue credenze, comportamento, pensiero ed emozioni: la diversa fisionomia mentale, nella maggioranza dei casi, non sarebbe mai stata accettata dalla precedente identità, se avesse potuto prevedere cosa le avrebbe riservato il futuro. Va pure evidenziato che siffatto controllo mentale avviene in maniera del tutto impercettibile.

Per indurre un’identità artificiale negli affiliati, distruggendone quella individuale, un culto abusante attiva un’articolata serie di elementi, tra i quali spiccano i seguenti processi di condizionamento[3]:

·           inculcare continuamente negli affiliati sensi di colpa, fobie e paura di un nemico esterno;

·          non tenere in alcuna considerazione chi la pensa diversamente dai vertici, non accettare alcun suggerimento relativamente alla leadership, ostracizzare i dissidenti;  
 
·          riuscire a controllare molteplici aspetti della vita degli affiliati, come il modo di vestire o la scelta degli amici e del coniuge;  
 
·          promuovere rigidi programmi di vita quotidiana;
 
·           esercitare un rigoroso controllo dell’informazione e della comunicazione;  
 
·          demonizzare le altre religioni;  
 
·          pretendere che l’ideologia venga prima della persona e definire i dubbi come “peccato”, con conseguente impossibilità di dare per scontata la fedeltà degli affiliati ai principi fondamentali della Costituzione;  
 
·          presentare i propri vertici come unici intermediari indispensabili per la salvezza.
 
Una visione semplificata della realtà e dei rapporti umani, proposta in chiave di indifferenziazione o di scissione tra bene e male, la ricerca di una perfezione narcisistica al di fuori del confronto con il mondo, la rinuncia ad un pensiero autonomo e ad agire indipendentemente rientrano nell’ambito di quei processi che cercano di minare l’integrità e l’autonomia decisionale di una persona. L’essenza del controllo mentale consiste nell’incoraggiare la dipendenza e il conformismo e nel disincentivare l’autonomia e l’individualismo. Quindi, nel caso delle tecniche di controllo mentale, siamo ben lontani da quelle usate per rafforzare la volontà personale e promuovere la capacità decisionale dell’individuo. Gli abusi più pericolosi colpiscono essenzialmente gli individui nella loro personalità. Constatiamo che, spesso, si tratta di manipolazioni che conducono alla destrutturazione della personalità, alla rottura con l'ambiente familiare, sociale, professionale, senza contare tante manipolazioni finanziarie.

Per dirla con Hassan, “il controllo mentale, chiamato anche ‘riforma del pensiero’, è sottile e raffinato. Coloro che lo esercitano sono considerati dalla vittima alla stregua di amici o di propri pari ed è per questo motivo che i meccanismi di autodifesa non entrano in azione.”[4]  

I fatti osservati
 
In diverse occasioni è stato possibile osservare che l'adesione ad un culto abusante tende a mettere in crisi i rapporti fra i membri di una famiglia, soprattutto perché questi non sono più spontanei e diretti, ma mediati dagli insegnamenti di un capo carismatico o dagli ideologi del gruppo con il quale si instaura un rapporto privilegiato; spesso tali insegnamenti si prefiggono la rottura dei legami tra il neofita ed il mondo esterno alla setta, naturalmente del “mondo esterno” fanno parte anche quei familiari che non accettano l’ideologia del gruppo.
 
Non è possibile valutare esattamente il numero delle persone toccate dal problema delle famiglie “religiosamente divise”, e quindi la precisa rilevanza sociale del fenomeno. A questo riguardo assume particolare rilievo l’attività del CeSAP[5] (Centro Studi Abusi Psicologici).
 
Tra le 456 richieste di assistenza, giunte al CeSAP nel solo anno 2002, il 23% dei richiedenti aveva problemi di separazione/divorzio a causa dell'adesione di uno dei coniugi ad un gruppo settario. Il 10% aveva già attivato causa di divorzio, mentre la restante percentuale viveva una condizione da “separati in casa” o si apprestava a procedere legalmente. Nell'80% dei casi sono le donne che aderiscono a qualche ideologia, che poi crea conflitto nell'ambito familiare.

Per quanto riguarda le problematiche emerse con maggiore preponderanza, si possono individuare le modalità con le quali il coniuge settario giunge a negare la propria affettività per il partner che sente non appartenergli più.

Una modalità con la quale si persegue la rottura con il coniuge non coinvolto è la cosiddetta “tecnica della profezia che si autoadempie”[6]. Il reclutatore del culto abusante “profetizza” al neofita che presto quest’ultimo sarà messo alla prova (o tentato dalle forze del Male) attraverso familiari ed amici. Inevitabilmente questa “profezia” si adempie non appena il coniuge, i parenti e gli amici notano dei cambiamenti nell'uso del linguaggio o del comportamento del proprio caro neofita, e gli esternano le loro perplessità con inviti più o meno espliciti a diffidare del gruppo cui si è avvicinato. Queste raccomandazioni vengono recepite dal neofita come “macchinazioni sataniche” ed inducono nel neofita una iniziale diffidenza nei confronti del coniuge e di quanti gli appaiono come strumenti inconsapevoli di Satana! Di contro, il neofita sarà indotto a ricercare sicurezza nel gruppo che ha previsto le sue attuali “difficoltà” con la famiglia.
 
Altra modalità con la quale i culti abusanti realizzano la rottura tra il neofita e la sua famiglia consiste nell’inviare l’adepto “in missione” in paesi lontani, allo scopo di  impedire ogni influenza da parte di parenti ed amici. Si sono verificati casi in cui i familiari non riescono a sapere dove vive il loro caro che ha aderito ad un gruppo abusante. In queste circostanze è evidente che il disagio affettivo del neofita, centrato anche sulla negazione forzata della propria famiglia d'origine, è tale da generare dei veri e propri misconoscimenti della realtà.
 
Tra le diverse tipologie di separazioni, divorzi e cessazioni di convivenze si sta facendo strada quella di chi chiede la separazione (o la subisce) da un partner settario, non a causa di una generica "incompatibilità di carattere", ma in forza della trasformazione della personalità subita da quest'ultimo. Dallo studio, basato sull’analisi dei colloqui e sulla disamina della documentazione (provvedimenti giudiziari, memorie, relazioni degli assistenti sociali, relazioni dei consulenti d’ufficio e di parte), si evincono i radicali cambiamenti dell'adepto, lamentati dal coniuge o dai familiari, successivi all'adesione al gruppo ed additati a "prova" dell'avvenuto condizionamento mentale.

Più precisamente l'adepto cerca d’imporre all'intera famiglia norme, ritmi, orari, amicizie diversi. Lentamente i vecchi amici sono sostituiti dai nuovi; i parenti "carnali" devono cedere il posto a quelli "spirituali", mentre spesso sono cancellate ricorrenze e festività. Gli orari e i ritmi familiari sono piegati alle esigen­ze del gruppo. Il progressivo cambiamento avviene anche nei dettagli, come nel vestire, nella cura della persona o nella scelta delle letture. Non mancano, per ultimo, i tentativi - a volte assillanti - di "convertire" i propri familiari, soprattutto i figli minori.

Di solito, uno dei parametri che misura il grado di adesione del neofita al gruppo è dato dalla sua capacità di usarne con proprietà e frequenza il gergo. L'acquisizione e l'uso di un nuovo linguaggio è indice di una avvenuta riforma del pensiero.

Questo "cambiamento di mentalità", così tanto raccomandato dal gruppo, si traduce poi in atti concreti e comportamenti rilevabili, come pure in un diverso atteggiamento nei confronti del mondo e della vita, ovviamente nel senso voluto dal gruppo. Il soggetto tende ad essere, ad esempio, più fatalista ovvero meno motivato al miglioramento della propria condizione socio-economica, all'avanzamento nella carriera, al conseguimento di un titolo di studio superiore come pure all'impegno nel sociale o a coltivare i propri interessi durante il tempo libero. Attraverso le lenti dell'ideologia del gruppo molte cose perdono significato e contorni, rendendo vacui ed inutili ogni impegno o interesse non previsti dallo stesso gruppo.
 
La rottura nella famiglia è provocata dall'unidirezionalità e dall'indiscutibilità delle decisioni prese solo dal coniuge settario, a cui l'altro non riesce ad adattarsi.[7]

Il riferimento a un caso concreto può contribuire a una più efficace illustrazione del fenomeno.
 
Silvio, impiegato, e Clelia, casalinga,[8] erano una coppia affiatata e impegnata nel sociale. Agli inizi degli anni Novanta Clelia veniva in contatto con un culto controverso. Silvio si cominciò a lamentare soprattutto perché, da quando lei aveva cominciato ad impegnarsi nel gruppo, "trascura i suoi impegni familiari”: non era più scrupolosa nelle faccende domestiche, verso i figli e il marito e passava la maggior parte del suo tempo a svolgere attività promosse dal gruppo. Egli riteneva che, da quando la moglie aveva aderito al gruppo, i rapporti si erano deteriorati. Il marito sosteneva che ammirava molte delle qualità della moglie prima del loro matrimonio, cioè onestà, sincerità, integrità, preoccupazione per gli altri, ferma intenzione di salvaguardare il matrimonio ecc., ma da quando si era impegnata con il gruppo, molte di queste qualità, secondo lui, erano cambiate. Il marito asseriva che erano stati molto legati l'uno all'altra e avevano avuto un rapporto eccellente finché non si era intromesso il gruppo.

La volontà di “individuare i reali motivi che avrebbero potuto convincere la moglie alla nuova ‘iniziazione’ religiosa” spinse Silvio a passare molto tempo a fare ricerche accurate sulla storia e sugli insegnamenti del gruppo; questo studio lo convinse della sua pericolosità per la propria famiglia. Impegno prioritario, nella vita di Silvio, divenne quello di convincere Clelia a lasciare il gruppo e ripristinare il clima familiare vigente prima dell’interferenza del gruppo nella coppia, ma le circostanze precipitarono al punto che, nel 1992, Silvio “si vide costretto a chiedere la separazione legale”.

Nel caso di questa coppia, la nuova opzione religiosa della moglie costituiva l'unica causa dei problemi familiari; infatti, grazie soprattutto alla perseveranza di Silvio nel conservare – per oltre un anno - contatti costruttivi e non drammaticamente conflittuali con la moglie anche dopo la formalizzazione della separazione innanzi ai giudici, Clelia ha accettato la riconciliazione dopo che – per usare le parole pronunciate dalla donna dinanzi ai giudici - era “venuto meno l’unico vero motivo della separazione, in quanto si era dissociata dalla pratica religiosa” abbracciata in precedenza.

È doveroso evidenziare la necessità di non generalizzare o trarre conclusioni troppo ampie da casi del genere. Essi sicuramente indicano che certi fatti possono capitare e capitano. La ricerca tesa a determinare se certi fatti siano tipici e quanto siano diffusi è un compito decisamente difficile.

Le situazioni descritte ci possono aiutare nella comprensione di problematiche determinate e sono una valida fonte di informazione per ulteriori ricerche: occorre ancora fare molta strada per un’adeguata dimostrazione sperimentale del rapporto causa-effetto tra adesione di un coniuge a un culto abusante e separazione/divorzio; un problema particolarmente intricato è quello di determinare la causalità, o meglio se sia il fattore A (adesione a culti abusanti di un coniuge) a causare il fattore B (separazione e divorzio): la diffusione di diversi casi ci aiuta, comunque, ad accertare che un rapporto esiste.

Scene da matrimoni in crisi

“Che male c'è a frequentare quel gruppo?” può chiedere una moglie, quando il marito comincia a spazientirsi per la invadente presenza dei reclutatori in casa.

“Le persone che vengono a farmi visita sono così gentili, così interessate al mio benessere presente e futuro!”, osserva la moglie.

“Ma non ti accorgi che ti fanno il lavaggio del cervello"! urla il marito. C'è da aspettarsi che il marito reagisca in questo modo: ha sentito dire che il gruppo in questione è una setta, ma non sa spiegare perché; ha pure sentito parlare delle loro strampalate teorie.

Dal canto suo, avendo imparato che questo è il primo segnale della "persecuzione per l'amore che ha per Dio", la moglie non sembra capire ciò che è ovvio, e comincia ad allontanarsi dal coniuge.
Molti mariti, scoprendo che le loro mogli frequentano gruppi “strani”, si infuriano. I reclutatori sanno esattamente cosa dire alle mogli (“ti sta perseguitando a causa del tuo amore per Dio; tuo marito non ama la verità”), così come sanno tenerla a bada per evitare che sia influenzata da altri (“dovresti frequentare di più il gruppo; non dare ascolto al nemico quando suscita dubbi nella tua mente!”). Altre donne affiliate allo stesso gruppo, separatesi dai loro mariti anni prima, sono disponibili per consolare la neofita ed incoraggiarla.
 
Come può sopravvivere l'armonia familiare, quando viene meno il cemento dell'unità  spirituale tra i partner di una famiglia ormai religiosamente divisa?

I mariti o le mogli affiliati a un gruppo abusante forse continuano a vivere in casa, ma smettono di fidarsi del partner “incredulo” o di esaminare seriamente con lui le questioni importanti; talvolta perdono ogni interesse a comportarsi come una coppia vera: i loro pensieri sono tutti concentrati sulla nuova “verità” e quasi tutto il tempo libero è dedicato alle attività del gruppo o ad altri adepti, i quali - secondo loro - “capiscono veramente” in una maniera che il partner “incredulo” non riesce a fare. Il risvolto della medaglia è che proprio il partner “incredulo” è il più angosciato per il fatto che spesso non ha nessuno con cui parlare della situazione creatasi in seguito alla nuova opzione religiosa del coniuge!

D’altronde, in sede giudiziaria, è difficile descrivere e documentare situazioni e comportamenti di questo tipo; per giunta, il coniuge affiliato talvolta ricorre alla vessazione del partner attraverso accuse gravi e infondate, per lo più di presunte violenze, spesso di carattere sessuale. Per illustrare riferiamo la vicenda di una coppia italiana. Anche in questo caso, dopo il matrimonio e dopo la nascita di figli, la moglie aderisce a un culto controverso; riferiamo la vicenda così come prospettata dall’adito giudice penale[9]. Elena si ritiene portatrice della parola salvifica che le viene dettata dalla fede religiosa che ha recentemente abbracciata e ritiene in buona fede di indirizzare la vita familiare secondo i dettami della sua fede. E’ ovvio che il marito, Paride, opponga resistenza vedendo crollare i principi cui, secondo la tradizione italica e secondo i dettami della religione cattolica, aveva improntato il suo nucleo familiare.
I contrasti sono violenti e i diverbi aspri e severi fintanto che Elena e i figli presentano una querela per maltrattamenti, tutta pervasa da accenti a forti tinte, da linguaggio fanatico. Dopo un lungo e serrato confronto, fatto anche in aule giudiziarie, i querelanti presentano una remissione di querela e una revoca di parte civile, affermando che i fatti denunciati non dovevano essere considerati quali finalizzati al reato di maltrattamenti in famiglia: Elena ammette che i diverbi erano unicamente verbali e precisa come non siano avvenuti quegli altri episodi denunciati (episodi di violenza fisica), i quali erano frutti di fervida fantasia o esprimevano il timore di ciò che poteva accadere, fraintendendo mere minacce per accadimenti.

In questo caso Paride, presentato dalla moglie come persecutore, è stato assolto dal reato di maltrattamenti in famiglia “perché il fatto non sussiste”.

 Qualche proposta

Quale atteggiamento è meglio assumere di fronte a un familiare coinvolto in un culto abusante? Il comportamento conflittuale della famiglia in separazione emerge prima della formalizzazione legale della conflittualità in un contesto ben preciso.
 
Di solito è facile dire al neofita: “Non aderire!”, o: “Lasciali perdere!”, oppure rinfacciargli cosa c’è di sbagliato nel gruppo cui ha aderito; cosa ben più faticosa è stare ad ascoltare che cosa egli vi trovi di attraente. Capire non significa necessariamente approvare: l’ascolto non implica la condivisione dello stile di vita o delle “verità” proposti dal gruppo, ma richiede il rifiuto di un approccio cinico e sprezzante della “fede” scoperta dall’adepto; né l’ascolto impone di tacere sul fatto che il gruppo cui la persona cara è interessata, o cui ha aderito, può esigere molti più soldi o impegno di quanto appaia a prima vista o su altre specifiche preoccupazioni: se esistono veri motivi di preoccupazione, è necessario presentarli alla persona il più presto possibile, con calma e precisione; evitate le vaghe generalizzazioni; ripetere informazioni sensazionalistiche, senza averle verificate come autentiche, può solo contribuire a confermare nella mente del neofita l’idea che dall’esterno la gente distorca la “verità” per fini malevoli.

In definitiva, uno degli obiettivi primari di questo ascolto consiste nel valutare se  l’affiliato abbia perso, o corra il rischio di perdere, il proprio senso di responsabilità individuale. Infatti, per certe persone il fatto di “abbandonarsi tra le braccia del gruppo” può comportare la rimozione o la soppressione della percezione di sé come individuo con diritti e responsabilità.

Incoraggiare l’adepto a pensare da sé non vuol dire convincerlo a pensarla come noi, però è possibile che, invitandolo a parlare dei nuovi princìpi e delle sue esperienze, lo si possa indurre a riconsiderare il gruppo in un modo che non comporti semplicemente la ripetizione delle frasi fatte o del linguaggio astruso con cui certi gruppi isolano i loro membri dal mondo esterno. L’interlocutore che non accetta le regole del gruppo dovrebbe cercare non di forzare le risposte o le conclusioni dell’adepto, ma di dargli l’occasione di considerare, in un ambiente che non viene percepito come minaccioso, alcune delle informazioni e implicazioni che egli non ha altrimenti avuto l’occasione di valutare.

Cosa non fare

·  Non attribuite al coniuge-adepto epiteti offensivi, non ditegli che si trova in una setta. Evitate ogni tipo di linguaggio accusatorio.
 
·   Non date al coniuge-adepto pubblicazioni “contro” il gruppo cui aderisce, a meno che non crediate veramente che saranno lette, altrimenti egli percepirà il materiale come un attacco e si "chiuderà a riccio".
 
·   Non minacciatelo con l’arma del cacciar via da casa, o del divorzio o di portar via i bambini ecc. Fategli sapere quanto lo amate standogli accanto.
 
·   Non dite contro il gruppo cose che non potete dimostrare, perché non vi prenderà sul serio.
 
E … cosa fare
 
·   Leggete tutto quello che potete sui metodi di condizionamento mentale usati dai culti abusanti, e sulla storia del gruppo in cui è coinvolto il vostro familiare. Essere ben informati e sentirsi a proprio agio su ciò che sapete avrà un duplice effetto: farà colpo sul vostro familiare e vi aiuterà a sentirvi sicuri di ciò che credete.

·   Adottate un atteggiamento problematico, non essendo critici in modo preconcetto, ma mostrandovi interessati a ciò che il familiare-adepto sta imparando. Dimostrategli che anche a voi interessa conoscere la verità.
 
·   Provate a fare in modo che il vostro familiare si incontri con ex seguaci di altri movimenti, lasciando che si scambino le rispettive esperienze.
 
·   Siate molto pazienti.
 
Entro quali limiti lo Stato dovrebbe intervenire nei confronti dei culti abusanti? È difficile tracciare un limite perché ci muoviamo su un terreno estremamente scivoloso. Sostanzialmente lo Stato dovrebbe assumere un triplice ruolo:   

·       quello dell'informazione e della prevenzione;
 
·       quello dell'assistenza e dell'ascolto;
 
·       quello repressivo nei confronti delle attività illegali: maltrattamenti fisici, sfruttamento sessuale, privazione della libertà, tratta di esseri umani, istigazione a comportamenti aggressivi, divulgazione di tesi razziste, frodi fiscali, traffico illegale di capitali, traffico di armi, esercizio illegale della medicina.

Quella che definiamo “conflittualità in famiglie religiosamente divise” potrebbe avere tutt’altra evoluzione se fosse espressa, ad esempio, non in un contesto di conflittualità legale, ma in strutture di mediazione. Infatti, per aiutare queste coppie, si auspica la possibilità di ricorso a strutture specializzate, adatte a svolgere compiti di mediazione familiare, ma anche di consulenza o di terapia familiare, in funzione delle specifiche esigenze connesse a problematiche di abusi e condizionamenti mentali, ai quali anche il magistrato può suggerire di rivolgersi, se lo ritiene opportuno, e presso i quali la coppia è tenuta ad assumere le informazioni di base, restando libera di servirsene fino in fondo o di interrompere in qualsiasi momento la collaborazione. Il punto è che, se pure il conflitto trova una soluzione per via legale – dettata da una razionalità giuridica spesso distante dalle concrete esigenze psicologiche e pratiche che lo scioglimento della famiglia comporta – troppo spesso si lascia che il vero conflitto, quello che ha inizio all’uscita del tribunale, svolga le proprie conseguenze senza l’ausilio di particolari forme di comprensione e controllo.

Nei Centri di consulenza di cui parliamo dovrebbero operare persone con differenti competenze: da psicologi, psichiatri, assistenti sociali che conoscano le tecniche di controllo mentale, a studiosi dei movimenti religiosi controversi, a consulenti legali esperti in problematiche giuridiche connesse all’affiliazione a culti abusanti.
 
Sull’esempio di una proposta formulata nell’ottobre 1998 da una Commissione governativa svedese, sarebbe auspicabile la creazione di un "Centro studi per le questioni di fede". Uno dei compiti principali di questo ente, oltre a servire come centro di studio, potrebbe essere quello di formazione del personale che nella propria professione potrebbe entrare in contatto con persone in crisi dovute alla loro adesione a un culto abusante.
 
Sulla scorta delle raccomandazioni emerse nel 1996 in occasione di una Riunione congiunta sulle sette della Commissione per le libertà pubbliche e per gli affari interni del Parlamento europeo con i rappresentanti delle commissioni omologhe dei parlamenti nazionali, appare opportuno, per quanto concerne le azioni concrete, dare la priorità alla preparazione di programmi culturali ed educativi che si rivolgano soprattutto ai gruppi sociali più sensibili, ad esempio ai giovani. Tali programmi dovrebbero contenere informazioni e indicazioni serie in modo che gli individui possano effettuare le scelte da soli, in piena libertà. Per giunta, sarebbe opportuno informare i giovani attraverso il sistema d’istruzione pubblica e paritaria: si ritiene auspicabile che lo studio del fenomeno settario venga aggiunto ai programmi scolastici relativi agli studi sociali; nelle scuole superiori si dovrebbe insegnare agli studenti cosa sono i culti abusanti e quali sono le tecniche per il controllo mentale; non si tratterebbe di “mettere all’indice” specifiche organizzazioni, si dovrebbero solo illustrare i principi psicologici sui quali si basa il condizionamento mentale e insegnare agli allievi la diffidenza da qualsiasi ambiente in cui venga scoraggiato ogni rilievo critico.

Se non opportunamente monitorate, le attività del culti abusanti continueranno a causare danni psicologici, perfino fisici, a tanti cittadini che non hanno la più pallida idea di cosa sia l’impiego scorretto delle strategie di persuasione.

La legge deve proteggere equamente ogni forma di libertà: tutti hanno il diritto di essere protetti dall’illecita ingerenza esercitata dai culti abusanti, dal punto di vista sia sociale che individuale.

Riflessioni conclusive
 
Nel febbraio 1998 la Direzione centrale della polizia di prevenzione ha reso pubblica una relazione sul tema Sette sataniche e nuovi movimenti religiosi in Italia con la quale, nel mentre si forniva un ampio elenco dei gruppi oggetto di indagine, si individuava una serie di pericoli insiti nella loro attività. Tra questi pericoli si segnalava il ricorso a meccanismi subliminali di fascinazione e ad altri metodi scientificamente studiati per limitare la libertà di autodeterminazione dei seguaci e per coinvolgerne di nuovi; scopo di queste tecniche è quello di aggirare le difese psichiche della persona inducendola ad un atteggiamento acritico, all’obbedienza cieca, alla vergogna di sé qualora intenda liberarsi da un vincolo associativo divenuto opprimente.
 
Per quanto riguarda i gruppi esaminati, anche se noti da tempo alle Istituzioni, lo stato delle conoscenze raccolte è spesso in ritardo rispetto alla situazione effettivamente vissuta all’interno dei gruppi. I motivi di tali lacune vanno ricercati, da un lato, nella scarsa capacità dei servizi specializzati di penetrare dietro la facciata propagandistica del gruppo e, dall’altro, nel numero notevole dei gruppi presi in considerazione e nelle trasformazioni continue di alcuni di essi. Non pochi gruppi svolgono un ruolo attivo in questa mancanza di trasparenza non fornendo informazioni, dando al mondo esterno un’immagine falsata della propria organizzazione reale o perseguendo obiettivi diversi da quelli dichiarati. Questo comportamento è talvolta radicato nell’ideologia professata dal gruppo.

Uno studio rigoroso dei culti controversi deve chiedersi in che misura la libertà di autodeterminazione sia rispettata, fino a che punto l’adesione (e l’obbedienza) sia volontaria e come il gruppo consenta agli affiliati di andarsene in qualsiasi momento e senza pressioni o di svincolarsi da altri obblighi non direttamente riferiti al gruppo e accettati passivamente. Tale riflessione si rivela particolarmente importante per lo Stato, quando singoli gruppi si spingono così oltre da rifiutare le autorità legittimamente costituite e quando l’ideologia del movimento è accessibile solo a una cerchia di persone iniziate, è trasmessa solo oralmente o in un ambito chiuso e gli affiliati sono soggetti a sanzioni se viene violata la segretezza dell’insegnamento. Sono soprattutto talune pratiche e strutture dei gruppi, fra le quali non di rado si annovera un opprimente sistema disciplinare, a permettere il conseguimento della limitazione o del sistematico annientamento della libera autodeterminazione degli affiliati al fine di provocarne la dipendenza dal gruppo.

Anche nei casi meno spettacolari di conversioni, talvolta l’attento osservatore esterno ha l’impressione che la capacità di autodeterminazione del soggetto sia fortemente limitata o addirittura annullata. Metodi come la manipolazione e l’indottrinamento scatenano processi interni che sono difficilmente riconoscibili dall’esterno. Tali processi si svolgono spesso in un contesto ristretto o perlomeno all’interno di un gruppo e, a posteriori, non possono praticamente più essere ricostruiti o provati. Inoltre, in questo contesto le modalità secondo cui agiscano i metodi manipolatori, in parte molto sottili, sono poco note e vi sono in proposito opinioni divergenti. D’altro canto, la valutazione è resa più difficile dal fatto che la persona manipolata fa anche la sua parte, nel senso che i suoi bisogni e il suo disagio preparano il terreno affinché la manipolazione possa esplicare i propri effetti.

Il problema posto dai gruppi abusanti risiede innanzitutto nel fatto che il libero arbitrio delle persone interessate è pregiudicato, perciò una delle contromisure da adottare consiste nel promuovere la diffusione di informazioni critiche in merito a questi culti. In tal modo, si offre agli interessati la possibilità (almeno sul piano teorico) di disporre di informazioni che completano la rappresentazione di sé fornita dai gruppi stessi, aiutando i potenziali affiliati nella propria scelta.

Concludendo sono da considerarsi estremamente pericolosi quei gruppi di potere che, creando separazioni per fini propri che prescindono dal benessere dell'uomo, minano i fondamenti della società civile, a partire dalla distruzione del sistema affettivo, biologico e dei valori appartenenti alla storia dell'uomo.
 
Achille Aveta
 
Note:
 
[1] In particolare, l'impennata del numero dei divorzi andrebbe collegata alla normativa della legge 74/87, che riduceva da cinque a tre anni il periodo necessario per chiedere il divorzio dopo la separazione.
 
[2] Per un’efficace descrizione delle moderne tecniche psicologiche finalizzate al conseguimento dell’obiettivo del controllo mentale, si rimanda a S. Hassan, Mentalmente liberi. Come uscire da una setta, Roma 1999, pp. 86 ss.

[3] Per una sommaria descrizione dei sistemi scientificamente studiati per aggirare le difese psichiche delle persone coinvolte, inducendole ad un atteggiamento acritico e all’obbedienza cieca, si rimanda al documento “Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia”, elaborato nel febbraio 1998 dalla Direzione Centrale Polizia di prevenzione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno.

[4] S. Hassan, op. cit., p. 90.

[5] L’Associazione offre assistenza su tutto il territorio nazionale e gestisce il sito www.cesap.net .

[6] Si veda L. Tinelli, Tecniche di persuasione tra i Testimoni di Geova, Città del Vaticano 1998, pp. 235 e ss.

[7] Si veda M. Antonello, “La salute mentale dei Testimoni di Geova. La situazione in Italia” in Jerry R. Bergman, I Testimoni di Geova e la salute mentale, Roma 1996, pp. 10-11.

[8] I nomi sono stati cambiati.

[9] Anche in questo caso i nomi sono cambiati.

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Commento inviato da un TdG dissidente
Giovedì 3 giugno 2003

 
    Ho letto con sincero interesse la relazione del Sig. Aveta in merito ai "Culti controversi e vincoli familiari". Non posso fare a meno di condividere pienamente quanto scritto, e appoggiare fattivamente la diffusione di una campagna informativa sui culti abusanti.

    Anche io ho sperimentato e sto sperimentando tuttora il dramma sotterraneo di aver fatto parte per oltre un ventennio di un movimento paralizzante quale è la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova; una religione che depaupera la mente del proprio intelletto.

     Anche io scelsi di conformare la mia esistenza a valori che consideravo cristiani, ma in realtà mi sottoposi passivamente ad una sudditanza psicologica che frenava ogni mio libero slancio. La causa nobilitante si trasformò in un effetto paralizzante, in una volontà ammalata senza apparente via di uscita.

    Poi sperimentai l'intolleranza, l'intolleranza non rivolta all'esterno, che già di per sé è riprovevole, ma quella rivolta all'interno, quella che soffoca, umilia e annienta quanti non si conformano completamente alla cinica linea generale imposta dai capi supremi.

    Quindi giudico più che comprensibile la riottosità di molte persone nel vedere il pericolo in cui il coniuge incorre avvicinandosi a movimenti di siffatta specie. Poiché capisco l'inutilità del procedere autoritariamente nei confronti di certe sette, auspico che almeno argomentativamente si possa fare qualcosa.

    Reputo che sia indispensabile la diffusione di testimonianze coerenti e trasparenti, senza mezzi termini o argomentazioni sibilline. Credo proprio sia necessario far pervenire alla varie filiali europee dei tdg, ma in particolare a quella italiana, le rivelazioni più scabrose e disumane, e gli effetti più devastanti provocati dai membri (gli anziani) a capo delle congregazioni, nei confronti di molti loro aderenti. Credo fortemente che sia giunto il tempo che la società Torre di Guardia, prenda atto, malgrado la sua proverbiale sordità, dei nefasti risultati che i loro risoluti unilaterali diktat hanno prodotto su una percentuale sempre maggiore dei loro seguaci.

     Bisogna fare capire loro e all'opinione pubblica con tutti i mezzi, anche quelli radio-televisivi, che così facendo si sono già avviati inconsapevolmente ma inarrestabilmente verso quel processo di logoramento interno, di declino e dissoluzione tipico della maggioranza delle loro vittime: milioni di incauti aderenti a cui è stata sottratta ogni forma di libertà.

 
Distinti saluti
   
 
 
 
 
   
       
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Crisi di coscienza,
Fedeltà a Dio
o alla propria religione?
Di Raymond Franz,
già membro del
Corpo Direttivo
dei Testimoni di Geova
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